giovedì 23 agosto 2012
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Alla fine pioverà. Dopo il caldo torrido, gli anticicloni dai nomi più improbabili, la solita, drammatica emergenza roghi da Nord a Sud, pioverà. E pioverà tanto, come forse è anche normale a settembre e in ogni anticipo d’autunno che si rispetti. Non fosse che sotto l’acqua, per l’ennesima volta, finirà un’Italia fragilissima e impreparata, con l’82% dei suoi comuni esposti al rischio di frane o alluvioni per un totale di 5 milioni di persone in pericolo.Inutile (anche se legittimo) lamentare i miliardi di euro tagliati negli ultimi mesi dalla politica “salva crisi” o ancora prima, quando il governo dei tecnici era di là da venire. La situazione idrogeologica del Paese è critica, in ogni sua parte o quasi, gli incendi hanno fatto tabula rasa di migliaia e migliaia di ettari di vegetazione lungo lo Stivale, lasciando la terra più che mai esposta alla violenza dei temporali, ed ora bisogna correre ai ripari come si può, scongiurando almeno il bilancio tragico dell’anno scorso, coi suoi 47 morti.Nell’ufficio del capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, le emergenze non si contano più: il terremoto, la siccità, gli incendi, ieri persino i Canadair, per cui non sono ancora stati stanziati i fondi del 2013. Ma il pensiero corre avanti: «Ci aspettiamo un autunno pesante, con eventi significativi dal punto di vista meteorologico, almeno come accaduto l’anno scorso», è il suo primo allarme. E davanti agli occhi, purtroppo, «abbiamo ancora un Paese impreparato». La mente torna a novembre, alle cascate di fango che inghiottono le Cinque Terre, allo tsunami che spazza Genova. Ricostruzione a parte, lungo la Penisola poco è cambiato sul fronte della prevenzione, coi piani territoriali troppo spesso chiusi nei cassetti o da riaggiornare, le misure di delocalizzazione delle strutture nelle aree a rischio mai avviate e il miraggio di una buona informazione ai cittadini sui comportamenti da seguire: tutti interventi, precisa Gabrielli, «che potrebbero essere avviati senza l’impiego astronomico di risorse richiesto dalla prevenzione strutturale (gli argini dei fiumi, il rifacimento degli impianti idrici, <+corsivo>ndr<+tondo>)». Ma eccola di nuovo, l’Italia delle incurie, che sottovaluta l’importanza del suo territorio sia quando lo sfrutta dal punto di vista produttivo (è il caso dell’Ilva) sia quando lo vive, lo abita, ci manda i figli a scuola: «Il Paese è mappato, conosciamo tutte le aree a rischio frane e persino quelle a rischio sisma, eppure ogni volta ci troviamo davanti a emergenze “inaspettate”, per cui cadiamo dalle nuvole o quasi».Già, proprio come nel caso della Liguria, bruciata dagli incendi sia nell’estate del 2010 sia del 2011, e poi alluvionata entrambi gli autunni, su litorali diversi. O della Calabria, della Campania, della Sicilia, coi paesi costruiti a ridosso delle frane: «Sono ancora troppi i ritardi e le leggerezze delle istituzioni». Tanti che a oggi non c’è una situazione meno preoccupante delle altre. Anzi. Gli occhi del dipartimento sono puntati sull’Emilia, che vede gran parte delle sue strutture idrauliche “ferite” dal sisma di maggio e inadeguate a sostenere i nubifragi che verranno: «Siamo impegnati costantemente nel monitoraggio del territorio – spiega Gabrielli –, tutti i presidi e i consorzi locali sono stati allertati, anche grazie alla sensibilità delle autorità regionali». La mobilitazione, insomma, è generale. Unica “consolazione” ai timori per l’autunno che verrà, proprio l’organizzazione della Protezione civile, che su quel territorio è esemplare.Ma restano Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta, persino la Provincia Autonoma di Trento, dove il 100% dei comuni è classificato a rischio. E ancora Marche, Lazio, Toscana: «Dobbiamo attrezzarci a gestire gli eventi meteorologici che ci aspettano con lucidità e consapevolezza. A cominciare dall’educazione dei cittadini – aggiunge Gabrielli – che devono sapere dove vivono, devono capire come comportarsi in caso di allerta. L’anno scorso abbiamo contato 47 vittime nelle alluvioni autunnali. Nella maggior parte dei casi si trattava di persone “in trasferimento”, nonostante i bollettini e gli allarmi diramati in ogni dove. Questo, almeno, non si ripeta più».
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