Ha il piglio del capo, Carlo Grigoli, e infatti è il comandante dei Vigili urbani, ma in un certo senso anche delle tendopoli, qui a Sant’Agostino, il primo paese colpito dal terremoto d’Emilia, quello che rimarrà per sempre impresso nella nostra memoria con il suo municipio sventrato in mezzo come da una bomba.E quella breccia immane attraverso la quale si scorgeva, paradossale, il grande lampadario di Murano, ormai così inutile in un paese che non c’è più e che ha pagato il suo tributo di morte con le prime quattro vittime. Ha il piglio del capo, sì, e per questo quando parla di paura colpisce ancora di più: «Noi abitiamo a Finale Emilia e abbiamo quattro figli, il più piccolo di 3 anni – racconta, mentre non smette un attimo di girare tra le centinaia di persone rifugiate nell’unica scuola del paese che abbia retto, costruita di recente e con criteri antisismici –. Non è facile riabituarsi alla casa, anche chi non l’ha avuta distrutta non ce la fa a chiudersi tra mura e stare sotto un soffitto, non ti fidi più». A sottrarre ogni residuo di fiducia non è stata la prima grande scossa del 20 maggio, «da quella ci siamo rialzati». Non è stata nemmeno l’altra, ancora più mortale, del 29 alle 9 del mattino, «che ci ha presi di sorpresa proprio mentre si iniziava a ricostruire». «È stata la terza, quella del 3 giugno alle 21.20, una domenica sera, a due settimane dall’inizio del terremoto, quando ormai si pensava che fosse finita: è una cosa che ti taglia a metà». Così l’unica è dormire sotto il cielo, e infatti in tutti i giardini delle case rimaste in piedi si sono formate piccole "tendopoli" spontanee. «Mia moglie, mia suocera e tre figli la notte stanno in camper, io e il mio secondogenito in tenda, a contatto con la terra. Non immaginavo: sento tutto vibrare, sento i brontolii di ciò che succede là sotto, come in un enorme ventre», dice il comandante. Che però nella disgrazia sottolinea i tanti episodi di solidarietà inaspettata: «In queste settimane roulotte e camper hanno raggiunto prezzi esorbitanti, anche 300 euro a notte. Invece il nostro lo abbiamo ricevuto gratuitamente da una persone che nemmeno conosco».Nella scuola di Sant’Agostino, intanto, l’équipe di psicologi cerca di convincere le duecento persone rimaste a trasferirsi nelle case sicure, negli alberghi o almeno nella tendopoli di San Carlo, dove risiede un altro mezzo migliaio di sfollati, «però ognuno ha problemi oggettivi, che per le singole persone sono notevoli, l’amica che resta qua, i parenti da cui non vuole allontanarsi...».Il tempo passa e la gente ha un solo grande timore, che poi li raccoglie tutti, e cioè «di essere dimenticati», ci dice una degli psicologi che seguono lo stress post traumatico degli sfollati. La paura è che, spariti presto o tardi i giornalisti, passata la visita del capo dello Stato, spenti i riflettori delle tivù ormai entrate nei palinsesti estivi, «noi rimaniamo abbandonati». In pezzi è andata ogni certezza, la quotidianità, le cose solite che si fanno senza dar loro un peso, ma che diventano vitali quando non si hanno più. «Qual è la prima urgenza a Sant’Agostino? Il municipio», dice a sorpresa Grigoli, e ad annuire non sono solo il sindaco o il personale dell’amministrazione, che nella tendopoli si dà da fare con vigore e ottimismo, ma l’intera comunità, perché «per ora nessuno può nemmeno rifare una carta d’identità, o le carte per ricostruire, o null’altro». Sembra niente, ma significa che la vita civile non può ripartire, «che siamo un paese senza storia, se non recuperiamo almeno in parte l’archivio cartaceo per anni ci tireremo dietro problemi enormi». Ma soprattutto c’è un’altra assenza, che a settembre diventerà emergenza, ed è l’asilo del Sacro Cuore di Finale Emilia, che ospitava 160 bambini. «Le suore si sono salvate, ma cosa succederà a settembre? Per un po’ i bimbi staranno nei container, ma poi? Per Finale è un disastro». Aveva retto il 20 maggio, è venuto giù con la scossa del 29 mattina, quando anche il sindaco se l’è vista brutta: «Ero dentro con gli ingegneri per la verifica della staticità, mi è andata bene, sono uscito al volo». «Cerchiamo aiuti per rimetterlo in piedi», è l’appello che la popolazione ci affida. «Scrivetelo su <+corsivo>Avvenire<+tondo>, è la nostra priorità, il resto verrà dopo».