Sulle tombe ci sono tre gigli. La prima lapide recita: «È morto nel Canale di Sicilia il 24 agosto 2014. Salma sbarcata ad Augusta il 26 agosto 2014. Età compresa tra i 35 e i 40 anni». Le altre due differiscono solo per l’età presunta delle vittime. Tre fosse uguali: numero 137, 138, 139. Le cifre con cui la Procura ha identificato i tre corpi che ora riposano nel cimitero di Siracusa che, complessivamente, ospita una ventina di migranti. Ieri si sono aggiunte le salme di 6 dei 17 migranti ritrovati morti lo scorso 29 maggio a bordo di un gommone. Stabilire quante siano le morti dei migranti nel Mediterraneo è quasi impossibile: le stime più accreditate calcolano 20mila vittime negli ultimi vent’anni. Pochi i corpi recuperati cui è stata data una degna sepoltura, ancora meno quelli cui è stato dato un nome. Sono 3.188 i migranti censiti dai registri dei decessi di Italia, Malta, Grecia, Spagna e Gibilterra. Di questi, il 65% non ha un nome, né una provenienza. Due su tre. È quanto emerge da una ricerca dell’Università di Amsterdam VU, i cui risultati sono consultabili online sul sito 'Human costs on border control'. «L’obiettivo è realizzare un censimento con una base diversa da quella, inevitabilmente approssimativa, realizzata solo sulla base di rassegne stampa » spiega Paolo Cuttitta, ricercatore presso la Vrije Universiteit di Amsterdam. I ricercatori hanno operato sulla base di un metodo omogeneo, fondato su dati certi: ovvero i registri anagrafici dei decessi e quelli dei cimiteri. «L’identificazione è essenziale, ma manca la percezione dell’importanza di questo aspetto» sottolinea Cuttitta. Innanzitutto per restituire dignità alle persone, che non sono semplici numeri. «Ci sono famiglie, mogli e amici che in molti casi non sanno cosa sia successo ai loro cari – spiega Paolo Cuttitta –. Ma ci sono effetti pratici di estrema importanza: una vedova, ad esempio, non potrà risposarsi se non c’è un certificato di morte». Per questo motivo i ricercatori chiedono ai singoli Paesi e alle istituzioni europee di proseguire questo lavoro di ricerca. E di investire di più nell’identificazione delle vittime, ad esempio attraverso l’istituzione di procedure standardizzate a livello europeo nella registrazione dei dati, o attraverso la raccolta di campioni di Dna per facilitare il riconoscimento da parte dei congiunti. Da un lato, la burocrazia che trasforma i migranti in numeri. Dall’altro, la mano dell’uomo che si prende cura del luogo in cui riposano. «Quando sono arrivato qui, lo scorso gennaio, sulle tombe non c’era nulla. Ho subito pensato che questo non fosse giusto», spiega Ettore Manni, direttore del cimitero. Sono bastate poche telefonate «e l’intervento della Provvidenza»: un misterioso benefattore, che ha voluto rimanere anonimo, ha pagato per le tre lapidi dei morti dell’agosto 2014.