mercoledì 29 febbraio 2012
​Giorni di tensione anche per gli operai al lavoro nell'area che dovrà essere espropriata. Pochi hanno voglia di parlare e temono ritorsioni in paese.
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Una disposizione ancora non esiste, ma un operaio ci assicura che, Tav o No Tav, la Madonna del Rocciamelone non l’abbatterà nessuno. I lavori di recinzione del cantiere di Clarea sono terminati e l’edicola eretta per proteggere l’icona della Vergine cara alla valle è ormai inaccessibile ai cattolici valsusini, che ogni giorno venivano a pregare qui. Due chilometri di muri in cemento e acciaio, coronati da concertine, che a dispetto del nome è terribile filo spinato. Visto dall’interno, il cantiere per cui si lotta e si rischia persino di morire, è solo una conca di sottobosco fangoso, abitato da agenti, a centinaia, e maestranze, poche per ora. «Abbiamo recintato l’area prima di avviare la procedura di esproprio – ci spiega il direttore delle costruzioni – perché ci è stato ordinato dal Prefetto». Questione di un mese, precisa un funzionario della Ltf, la società ferroviaria incaricata di realizzare il più grande tunnel di base. È un’opera da 143 milioni, altissimo livello ingegneristico e un consenso politico praticamente assoluto: «Solo qui, solo su questo traforo, solo questa volta abbiamo incontrato tanta ostilità». sospira il direttore dei lavori. Nessun nome, nessuna foto: ragioni di sicurezza, anche questo ingegnere romano, che si è fatto tutti i cantieri dell’alta velocità Roma-Napoli, è diventato un “obiettivo strategico” e va trattato come tale. Camminiamo insieme tra la baita e la madonnina, in quello che fino a qualche giorno fa era il sancta sanctorum dei No Tav. Qui il movimento organizzava le feste campestri e i direttivi, qui dovevi salire per incontrare i leader della protesta quando i caterpillar non avevano ancora disboscato. Ora la baita è sotto sequestro, come il vicino traliccio da cui è caduto Luca Abbà, ma nessuno ci fa caso; in val Susa ogni pietra ha una storia giudiziaria. «Non abbiamo fatto ancora alcun lavoro in quest’area del cantiere – precisa il dirigente Ltf – perché l’ordinanza vieta di realizzare prima dell’esproprio qualunque opera che non sia indispensabile per recintare l’area; la recinzione è motivata dal fatto che, in virtù della legge di stabilità, siamo in un sito strategico nazionale e che chiuderlo all’accesso di estranei significa anche tutelarli». La tesi non piacerà ai No Tav, ma l’ordinanza che ha portato all’occupazione della Clarea serve a evitare che, trovandosi “inavvertitamente” in un’area strategica e quindi interdetta per legge qualcuno di loro incorra in un reato...Passa un lince, ne sfreccia un altro. Gioiellini della meccanica militare: li hanno progettati per resistere alle mine afghane e la valle di Susa, malgrado tutto, è altra cosa. Nel cantiere è un pullulare di poliziotti e carabinieri, finanzieri e soldati. Gli unici che sorridono sono i militari, forse perché far la guardia a due ettari di bosco si guadagnano punti preziosi, per essere assegnati alle missioni "vere". Per gli agenti delle forze dell’ordine è solo un turno come tanti, otto ore nell’attesa di un nemico che è lontano, lassù, oltre i piloni dell’autostrada che porta a Susa e poi a Torino, ancora bloccata dai presidi dei No Tav. «È un lavoro come un altro, in un periodo nero per tutti. A costruire l’alta velocità non si prende di più, semplicemente si prende uno stipendio», racconta un operaio e anche lui dev’essere molto strategico perché non ci vuol dire come si chiama. Sarà pure il cantiere più militarizzato d’Europa ma basta un taccuino a far fuggire tutti. «Sapete com’è, qui in valle, non godiamo di grande popolarità» ammette il carpentiere. Che poi si lascia andare: lo stipendio - «1.600 euro al mese, non più di quanto prenderei in altri cantieri simili» -, la famiglia - «preoccupatissimi, quando vengo a lavorare mia moglie nasconde il magone», i paesani - «ti guardano storto, ma finora non mi hanno tagliato le gomme dell’auto perché sanno che siamo qui per lavorare». Negli altri cinque ettari già espropriati alla Sitaf, la società dell’autostrada, i lavori procedono regolarmente, mentre qui tutto è fermo, ma secondo la Ltf espropri e preparativi porteranno via solo qualche settimana e in estate si inizierà a scavare senz’altro indugio la prima discenderia italiana. «Non aspettatevi la fresa di cui tutti parlano – spiega il direttore delle costruzioni – all’inizio procederemo con uno scavo tradizionale, perché siamo su un terreno sciolto, friabile, dove il problema è consolidare, non scavare. Arrivati a 250 metri di penetrazione troveremo il granito e allora saranno necessari dei macchinari adeguati». Prima che si materializzi in valle la grande scavatrice che i No Tav, come il tenente Drogo del Deserto dei Tartari, hanno atteso per anni, ci vorrà un altro annetto. Almeno fino ad allora la Madonnina può star tranquilla.
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