sabato 11 aprile 2015
Filmati dubbi. ​Il giallo delle telecamere spente. E le truffe ai tavoli verdi: l'assassino era ormai sul lastrico.
IL SOCIOLOGO «Ora la città non rinunci ai suoi spazi di libertà»
Il giudizio incosciente di Marina Corradi
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«Plausibili, non certe». Così sono le immagini di Claudio Giardiello (52 anni) all’ingresso di Via Manara. Ma anche quelle di Bruti Liberati e Alberto Nobili. Il capo delle procura e il responsabile del dipartimento omicidi giovedì sera hanno più volte rifatto la prova e se non per la stazza e l’andatura non si sono nitidamente riconosciuti. Erano passate da poco le 19,30, ora in cui il Palazzo almeno ufficialmente si chiude. Le condizioni di luce erano certamente diverse, ma non deve dipendere da questo la sgranatura delle immagini, che sporcano anche i fotogrammi che alle 9,19 avrebbero agganciano l’assassino. Che è lui per il tratto, la complessione il taglio alla grassa del viso. Tutto contraddetto dal colore rosa della cravatta 'diventata' scura («chissà se anche qui per ragioni di luce») al momento delle cattura a Vimercate.  Falso o 'plausibile', neanche il tesserino di avvocato, necessario ad accedere senza controlli, è stato trovato. C’era invece in una tasca della giacca di Giardiello la Beretta, la calibro 9 col quattordicesimo colpo in canna. Dettagli minimi purtroppo con i tre morti e i due feriti che sono ormai il processo. Dettagli inutili come le enormi telecamere vintage e mute che, monumentali come lo scalone che pretendono di controllare, nessuno azzarda a riparare. «Grazie che mi avete fermato, avete fatto bene, avrei ucciso ancora e poi mi sarei suicidato», ha detto lui mentre lo arrestavano. L’imputazione per ora è omicidio premeditato volontario plurimo, ferimenti e lesioni aggravate. Ne avanza per la convalida dell’arresto che, forse oggi stesso dopo l’interrogatorio, deciderà un gip di Monza. Se aggravare l’imputazione sino al reato di strage, spetterà poi agli inquirenti di Brescia. Ma più che i dettagli tecnici sono altri gli elementi che meglio le 'ragioni' dell’assassino. Prima ancora del fallimento della Immobiliare Magenta, Giardiello viveva di processi. L’avvocato comasco Michele Rocchetti, lo aveva conosciuto nel 2007. Era stato agganciato per un’accusa di truffa ai danni del Casinò di Campione. Sprecava soldi alla roulette, ma non pagava il difensore. Usufruiva del gratuito patrocinio, con un reddito che ormai non raggiungeva i 10mila euro.  Con lui Rocchetti, prima di ricusarlo in aula, di processi ne ha fatti altri 12. Uno anche contro un collega avvocato: responsabilità professionale per un appello sbagliato in materia societaria. Giardiello pretendeva 300 mila euro. La Cassazione gli ha dato ragione nel merito, ora c’era da stabilire la somma del risarcimento. Sempre corretto, signorile, col suo fedele legale d’ufficio da ultimo si era fatto spigoloso, aggressivo. In aula ha rifiutato di sedergli accanto. E quando Rocchetti ha sentiti i primi tre colpi che hanno ammazzato Albero Claris Appiani ha immaginato a uno scoppio di petardi. Neanche quando ha visto quel corpo a terra ha pensato al suo cliente. La notizia completa l’ha avuta da Luigi Orsi, il pm rifugiato con la corte e i legali in camera di consiglio. «Un imputato ha sparato in aula con una pistola. Ci sono tre morti alla seconda penale. Vieni Edmondo ». È questa, fredda come la paura, la telefonata del sostituto al capo della procura. Nessuno immaginava che a che la strage non fosse conclusa. Appiani era un teste della difesa. Lo aveva voluto proprio Giardiello. Sino a tre anni fa suo avvocato in materia finanziaria, gli attribuiva la responsabilità di non averlo informato degli ammanchi determinati, secondo lui dai ai soci: Davide Limongelli (41 anni) e Giorgio Erba (59 anni) ferito e ucciso in aula. Sempre lui aveva scelto come testimone il commercialista Giuseppe Verna, colpevole – sempre per l’assassinio – di aver pasticciato coi conti. Per questo la ha inseguito e gambizzato sull’ultima rampa dello scalone d’uscita. Una graduazione precisa nella sua giustizia omicida. Giardiello - spiega un inquirente - era un ottimo tiratore, come hanno dimostrato i colpi andati, sempre a segno come voleva. Gli piaceva sparare, si allenava al poligono. La scelta e la cura della Beretta, i due caricatori pieni, sono una dimostrazione aggiuntiva della premeditazione minuziosa.Come il risalire le scale per assassinare infine Ferdinando Ciampi (72 anni), un giudice di poche parole, di grande scienza giuridica, colpevole fra l’altro di avere scoperto una serie di assegni irregolari riconducibili a Giardiello. Da allora lo aveva 'incrociato', verosimilmente più volte passando dal 'Fallimentare' alle 'Imprese': due Tribunali contigui anche per materia, di fronte al secondo piano, l’unico in cui non c’è nemmeno la finzione di una telecamera. Tutto studiato, misurato in precedenza da Giardiello, che non avrebbe dovuto sapere che il giudice diventato da presidente sostituto (per la rotazione imposta  dalla legge) aveva cambiato ufficio  e stanza, che s’era scelto, nel fondo e dietro l’ultimo angolo del corridoio, la 250. Una stanza sempre aperta. Sbarrata ora da un nastro incrociato dai carabinieri e da una vecchia panca che si ricopre di fiori.
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