ORTANOVA (PUGLIA) - La realtà del caporalato è sotto gli occhi di tutti in Puglia. Da decenni. La si vede, la si sente, la si tocca, ma se ne parla ancora molto poco pubblicamente. In principio quasi niente è cambiato dal periodo antecedente alle lotte del sindacalista Giuseppe Di Vittorio: le violenze, le ore di lavoro, la paga irrisoria, le pessime condizioni di vita. Sono però passati dieci anni da quando la figura del caporale venne fermamente condannata sulla stampa. Nel 2005 fu infatti denunciata la scomparsa di circa 200 braccianti polacchi tra le campagne di Orta Nova, una cittadina della provincia di Foggia. Secondo alcune testimonianze dei sopravvissuti, le vittime furono rinchiuse da un esponente della mafia locale in casolari per diversi giorni, incatenate e picchiate per impedire loro di fuggire. Con i recenti flussi migratori, la figura del caporale sta però prendendo una dimensione molto più preoccupante. Gli stessi braccianti stranieri che lavoravano nei campi fino a qualche anno prima, ora gestiscono il lavoro massacrante dei loro connazionali o di altri gruppi di immigrati. «Ho una squadra di circa 20 persone che vivono nelle campagne di Lucera e che dovranno raccogliere pomodori ogni giorno fino a settembre». A parlare non è più l’italiano che un tempo veniva con il suo furgone a raccogliere bestie da soma nelle piazze alle 4 di mattina bensì un ghanese. Charles (nome di fantasia), in Italia da alcuni anni, è proprietario di una baracca nel ghetto di Rignano e di un appartamento a Lucera. Rimane sempre vago rispetto ai dettagli sui prezzi, i luoghi o i tempi di lavoro. Charles ricopre questo ruolo da almeno 4 anni. «Sto aspettando di ricevere una chiamata dal capo italiano che vive a Napoli – spiega in italiano a tre braccianti originari del Gambia –. Io vi pago 3,5 euro a cassone e voi mi date 30 euro per il materasso durante tutta la stagione». Charles, che non ha problemi ad assumere questi schiavi moderni anche quando non hanno i documenti, si prende molto probabilmente una percentuale su ogni cassone di pomodori da tre quintali. Nonostante nella provincia di Foggia da almeno 15 anni si usino le macchine per la raccolta, in molti casi i braccianti rimangono comunque una soluzione molto più economica e pratica. Quando piove, infatti, le macchine sono difficili da impiegare: faticano su un terreno fangoso e si inceppano gli ingranaggi. Per quanto riguarda i costi, si stima che 30 lavoratori equivalgano al lavoro di una macchina seguita da cinque braccianti. Ma quando il personale viene pagato solo 2,5 euro (invece dei 7 euro all’ora minimi), in una stagione tanto competitiva come quella dell’oro rosso, si risparmiano probabilmente migliaia di euro al giorno. L’articolo 12 della legge n. 138 del 13 agosto 2011 ha finalmente introdotto nel codice penale il reato di 'Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro'. Le pene contro i caporali sono la reclusione da cinque a otto anni e una multa da pagare da 1.000 a 2.000 euro per ogni bracciante. La autorità sembrano comunque rimanere inerti davanti a questo tragico fenomeno.