All’inizio del suo pontificato, qualcuno aveva fatto osservazione su quel tempo piuttosto lungo che papa Francesco dedicava a salutare i convenuti alle sue udienze, su quel suo intrattenersi più del dovuto con gli anziani, i piccoli, i malati. Adesso, dopo mesi e migliaia di abbracci tra la folla, senza badare al tempo, di bambini che gli scorazzano liberamente attorno, di file di malati sempre più numerosi e da lui sempre cercati, appare chiaro a tutti che quel tempo fuori protocollo è una sua propria raison d’être. Ragion d’essere, anzitutto, come successore di Pietro e vescovo di Roma.È cronaca di una settimana fa l’incontro interminabile con i disabili dell’Unitalsi. È cronaca di mercoledì scorso la folla di mani, di fronti baciate che Francesco si è stretta per ore al termine dell’udienza e dalla quale sembrava non volesse più staccarsi. E cronaca di questi giorni è l’incarico dato dal vescovo di Roma all’elemosiniere di San Pietro di provvedere a una visita negli istituti religiosi per anziani e disabili della diocesi di Roma e riferire sulle necessità e i bisogni, nel segno di un’attenzione discreta, concreta, effettiva, solidale. È questo il día a día del Papa: di oggi, come lo è stato di ieri e lo sarà di domani. E le recenti istantanee di Francesco con la bambina gravemente malata e che bacia il lebbroso restano impresse quale paradigma dell’essere evangelicamente Chiesa: è il fuori protocollo degli ultimi che sono diventati primi. I primi. Proprio loro. Rovesciamento copernicano. Perché è in loro che Cristo stesso ha detto di trovarsi.Negli ultimi «la carne di Cristo», come più volte ha ripetuto Francesco. Dai quali quindi «si riceve». E ai quali si deve l’attenzione che pure gli immediati predecessori di papa Francesco hanno sempre manifestato. Non si tratta dunque solo della sorprendente e commovente manifestazione di umanità di un Papa dallo stile latinomericano. È questione di predilezione. E il motivo è semplice: «Sono il tesoro della Chiesa». Tesoro senza il quale non si va incontro a nessuna riforma. «I poveri, anche i poveri di salute, sono tesoro prezioso della Chiesa!» e sono «inseriti a pieno titolo nella vita e nella missione della Chiesa», ha detto Francesco. Non sono parole nuove le sue.Trovano eco anche in uno dei più noti e popolari santi romani dei primi secoli, Lorenzo, che obbligato a consegnare i beni materiali della Chiesa ai persecutori, avendo distribuito l’oro della Chiesa ai poveri, si presentò ai carnefici con la folla di questi poveretti dicendo loro: «Ecco i tesori che mi avete richiesto. Questi che vedete sono il tesoro della Chiesa». Come diacono di papa Sisto II, Lorenzo provvedeva personalmente all’aiuto dei bisognosi «che erano abituati a essere sostenuti dalla mani della madre Chiesa». E l’importanza ecclesiale di Lorenzo è tale da essere paragonato anche liturgicamente agli apostoli («apostolorum supparem»), ed è tale anche per ricordare che tutto nasce dall’eredità di Pietro e Paolo, cioè dalla fides romana fonte di carità. Prudenzio, cantandone le lodi, lo chiama «Console perenne della carità», colui che con la carità fa splendere la gloria di Roma.Proprio il giorno dell’incontro con i malati, nell’omelia del mattino a Santa Marta, Francesco, come successore di Pietro e vescovo di Roma, aveva fatto riferimento al bene della fede ereditata dagli apostoli ricordando che quel giorno era la festa della Basilica Lateranense «la festa della città di Roma, della Chiesa di Roma e della Chiesa universale... perché essa è "la Madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe", icona del fiume di acqua che sgorga dal Tempio e che rallegra la città di Dio, immagine della grazia che sostiene e alimenta la vita della Chiesa».
Da sempre la Chiesa gioisce di questi beni, di questi due depositi inestinguibili di ricchezza: il bene della fede, il depositum fidei, e i poveri, i piccoli, i poveri di salute, che della sua ricchezza sia spirituale che materiale sono i destinatari e i fruitori privilegiati. È questa la salutare tradizione della Chiesa, quella con la T maiuscola. Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, nel suo De Officiis mininistrorum (Dei doveri degli ecclesiastici) così afferma, commentando l’episodio del gesto compiuto da Lorenzo: «E sono veramente tesori quelli in cui c’è Cristo, in cui c’è la fede di Cristo. Il vero tesoro del Signore è quello che compie ciò che ha compiuto il Suo sangue. Il tesoro della Chiesa è il deposito della fede che viene dagli apostoli. E quali tesori più preziosi ha Cristo di quelli nei quali ha detto di trovarsi? Quali tesori più preziosi ha Gesù di quelli nei quali ama mostrarsi? Tali tesori – conclude sant’Ambrogio – mostrò Lorenzo e vinse, perché nemmeno il persecutore poté sottrarglieli». È questa la Chiesa, la vita effettiva della Chiesa che ci sta mostrando Francesco, fondata sulla romana fides