Il cammino "mano nella mano" della Chiesa italiana con Francesco riprende con rinnovata lena ora che la riforma di statuto e regolamento della Conferenza episcopale s’è compiuta, ora che il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, è stato riconfermato nel prezioso ruolo di servizio e di guida che svolge da 7 anni, ora che la speciale relazione e sintonia tra il Vescovo di Roma e i suoi confratelli della Penisola s’è affinata nei primi 18 mesi di pontificato del Papa dell’
Evangelii Gaudium. L’immagine usata lo scorso maggio dal cardinale Bagnasco – quel sentirsi presi "per mano" – per rendere il senso dell’incontro e del colloquio ampio e profondo tra il Papa e i vescovi riuniti in Assemblea generale torna alla mente oggi, alla vigilia del Sinodo straordinario sulla famiglia che Francesco ha indetto per accrescere e fortificare, attraverso un dibattito aperto e saggio, la comunione ecclesiale e la capacità della Chiesa di servire la verità di Dio e dell’uomo e della donna e che più d’uno, invece, si premura di raccontare come un luogo e un tempo di pura "incomprensione" e di dura "divisione", replicando schemi interpretativi già malamente (e sterilmente) applicati ad altre vicende ecclesiali. Torna in mente quell’immagine familiare, le mani che si tengono e che si danno fiducia, mentre le parole, le preoccupazioni e le attese espresse dal Papa nel pellegrinaggio domenicale in terra d’Albania, cuore minuscolo e giovane della grande ed esausta Europa, trovano eco e originale e intensa continuazione nella prolusione del presidente della Cei ai lavori del Consiglio permanente.Una riflessione sui grandi temi che sono al centro della vita delle comunità cristiane e delle comunità civili (non solo) italiane e che, in questo tempo di dolore e prova e di necessario ricominciamento della speranza, il cardinale Bagnasco ha concentrato in particolare su due di essi. Prima di tutto, la scelta di stare totalmente a fianco dei «martiri» – mai così tanti, continua a ricordarci il Papa – nostri fratelli per fede e umanità, uomini e donne di pace incalzati dalla guerra e dalla persecuzione dei jihadisti, sino a essere minacciati di «genocidio», nel Vicino Oriente, ma anche in Africa e in troppe altre zone del mondo. E poi l’impegno sereno e deciso per la famiglia che – secondo le parole amaramente scelte a suo tempo da Francesco – è «disprezzata e maltrattata» dai corifei del «pensiero unico e omologante» e viene ancor più mortificata da una crisi economica e sociale che non è certo il frutto del caso, ma della declinazione di quello stesso «pensiero» che riduce la persona umana a
isola, a strumento e addirittura a povero "prodotto", manipolabile e commerciabile a piacimento.Il Papa chiama tutta la Chiesa a «uscire» fuori da sé. Con slancio missionario, cioè con la capacità di vedere, scoprire e risanare con insuperabile fiducia e dedizione le radici malate dell’ingiustizia e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, cioè con fedeltà ai poveri e ai feriti che cercano salvezza e ai quali mai vanno chiuse le porte del grande «ospedale da campo» edificato dalla parola e dalla morte e risurrezione di Gesù Cristo. E la Chiesa italiana lo segue e lo accompagna in questo cammino, con la fatica e la convinzione di un impegno che non comincia oggi, ma che proprio oggi trova più motivi per essere declinato con coerenza evangelica ed efficacia umana. Anche chiamando i fedeli laici a un protagonismo generoso per ricostruire con la propria «vita buona», attraverso la tessitura di «reti» che aiutino a resistere a solitudini e narcisismi, nel dialogo a occhi aperti con i mondi della politica e dell’economia il "posto" della famiglia e, con esso, il "giusto posto" di ogni donna e di ogni uomo nella nostra società italiana ed europea e in un mondo che devono riuscire a diffondere la solidarietà e a liberarsi dall’idolatria di tutti i poteri senza misura e senza responsabilità.