venerdì 26 aprile 2024
Dopo settimane di sit in la speranza di un dialogo tra studenti e autorità pare svanita. Negli ultimi giorni 34 arresti in Texas e 93 a Los Angeles. I manifestanti rifiutano le accuse di antisemitismo
La polizia ferma alcuni manifestanti

La polizia ferma alcuni manifestanti - Ansa

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Fra arresti, accuse (negate) di antisemitismo, rettori infuriati che rischiano il posto e interventi della polizia – gli ultimi hanno portato al fermo di 34 persone in Texas e 93 nel campus di Los Angeles della University of Southern California –, sale alle stelle la tensione nei campus universitari Usa dove un numero crescente di studenti restano accampati in protesta per le operazioni militari israeliane a Gaza. Da una costa all’altra degli Stati Uniti, i giovani, che dicono di ispirarsi ai movimenti pacifisti degli anni Sessanta, avanzano la stessa richiesta alle loro scuole: che smettano di fare affari con Israele o con qualsiasi azienda che sostiene la guerra in corso a Gaza ed è complice nell’uccisione di palestinesi. È una campagna che affonda le radici nel movimento decennale di “boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” contro le politiche di Israele nei confronti dei palestinesi, che ha acquisito nuova forza quando la guerra tra Israele e Hamas ha superato la boa dei sei mesi. Ma dopo settimane di manifestazioni e sit in, la speranza di un dialogo fra autorità e studenti è svanita la settimana scorsa quando più di 133 manifestanti che si erano accampati nel campus della Columbia a Manhattan sono stati arrestati dalla polizia. La riprova? La polizia ha usato i gas lacrimogeni per disperdere una protesta pro-Gaza nel campus della Emory University di Atlanta.

«Siamo nel Paese che non solo finanzia, ma produce e crea anche la maggior parte delle bombe che vengono lanciate su Gaza», spiega una delle leader della protesta alla Columbia, Catherine Elias, studente di master, dicendo che le università ricevono decine di milioni da Israele per progetti e ricerca che aiutano gli sforzi militari del Paese.La durata e l’intensità delle proteste hanno travolto i rettori delle università, accusati da gruppi pro-Israele e da molti parlamentari Usa (dove il sostegno a Israele è storicamente indiscutibile) di non fare abbastanza per riportare la calma. Alla domanda se condannasse «le proteste antisemite», Joe Biden ha risposto di sì, ma che condanna «anche coloro che non capiscono cosa sta succedendo ai palestinesi», ha aggiunto il presidente, un democratico.

Mercoledì lo Speaker della Camera Usa, il repubblicano Mike Johnson, si è incontrato alla Columbia con gruppi di studenti ebrei e ha chiesto le dimissioni della presidente dell’ateneo, Minouche Shafik, definendola «debole e inetta». «Non può neanche garantire la sicurezza degli studenti ebrei? Cosa si aspetta che facciano? Che scappino e stiano a casa e saltino le lezioni?». La Columbia ha offerto agli studenti che non si sentono sicuri sul campus di partecipare alle ultime lezioni dell'anno accademico in remoto. L'università ha fatto anche sapere che gli studenti che stanno protestando hanno promesso che «assicureranno che le persone estranee alla Columbia lascino il campus», adottando «misure per rendere l’accampamento aperto a studenti e docenti di tutte le idee».

Gli studenti negano di aver avuto atteggiamenti o atti antisemiti e la polizia, né a New York né altrove, non ha registrato episodi di violenza. Ma a un assistente della Columbia University, Shai Davidai, è stato negato l’accesso al campus.

In risposta agli arresti a Manhattan, gli studenti dal Massachusetts alla California si sono radunati a centinaia, allestendo tendopoli e promettendo di restare finché le loro richieste non saranno soddisfatte. Nei loro cartelloni e slogan descrivono come un genocidio l’intervento armato israeliano sulla Striscia di Gaza dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, quando i militanti hanno ucciso oltre 1.200 persone e preso circa 250 ostaggi. Durante la guerra che ne è seguita, Israele ha ucciso più di 34.000 palestinesi, secondo il ministero della Sanità locale. Le proteste in molti campus (da Harvard al Mit, dalla Rutgers e all'American University, dall’Emerson College a Nyu passando per Yale) sono state orchestrate da coalizioni di gruppi studenteschi che comprendono sezioni locali di organizzazioni nazionali, come Studenti per la Giustizia in Palestina e Voce degli ebrei per la pace, ma che non appaiono legate a movimenti politici.

Molti docenti li sostengono. Decine di professori della Columbia, ad esempio, hanno protestato contro la decisione dell'università di sospendere gli studenti accampati. I funzionari dei college affermano in generale di voler avere un dialogo con gli studenti ma hanno finora rimandato al mittente le richieste dei manifestanti. Sylvia Burwell, presidentessa dell’American University, ha respinto una risoluzione del senato universitario per porre fine agli investimenti e ai partenariati con Israele. A Yale, dove decine di studenti manifestanti sono stati arrestati lunedì scorso, il presidente Peter Salovey ha sottolineato che l’università non disinvestirà i suoi fondi da aziende produttrici di armi.

E Shafik della Columbia ha affermato che dovrebbero esserci «conversazioni serie» su come l’università può aiutare in Medio Oriente, ma che non permetterà «a un gruppo di dettarne i termini». In risposta, gli studenti dell’ateneo, che avevano promesso di sgombrare il campo, hanno deciso di rimanere, suscitando persino la reazione di premier israeliano Benyamin Netanyahu, che ha paragonato la situazione a «ciò che accadde nelle università tedesche negli anni '30. È terribile».

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