Nelle tre ore di dibattito hanno preso la parola intellettuali, studiose ed economiste che hanno raccontato come l'utero in affitto non sia affatto un dono o una espressione di solidarietà, ma una sopraffazione nei confronti delle donne più povere. Notevole impatto ha avuto il racconto della situazione in India: così come in Thailandia, migliai di donne sono diventate il bersaglio designato di un crescente "sistema di produzione biotecnologica di bambini", come l'ha definita in apertura senza giri di parole la filosofa femminista francese Sylviane Agacinski, mente delle Assise per l'abolizione universale della maternità surrogata.
I tre raggruppamenti che hanno dato vita all'iniziativa francese sono il CADAC (Collettivo diritti delle donne), il CLF (Coordinamento Lesbiche francese) e il CoRP (Collettivo Rispetto della Persona) capitanato per l'appunto da Agacinski.
Non serve regolamentare il settore, si è detto, ma abolirlo ovunque. La lotta alla maternità surrogata ha a che fare con la lotta alla prostituzione, perché in ambedue si vendono corpi di donna. Violenza, schiavitù, mercato neocoloniale sono state le immagini più evocate. Dunque, una delle prime sfide è combattere la visione edulcorata della maternità surrogata, forse anche a partire dal nome: maternità evoca qualcosa di bello e positivo: forse meglio il più crudo "utero in affitto".
Dall'Italia è partita una delegazione di "Se non ora quando - Libere", l'organizzazione che ha promosso una raccolta firme di sostegno alla petizione internazionale. Del drappello fanno parte Francesca Izzo, Francesca Marinaro, Ilenia De Bernardis, Sara Ventroni e Antonella Crescenti. Sul loro sito hanno raccolto 516 firme, ma l'obiettivo è arrivare a 1000.