Nelle prime ore di questa mattina la Polizia
ha effettuato in sette province italiane una vasta operazione
antiterrorismo nei confronti di appartenenti ad un'organizzazione
terroristica internazionale affiliata ad al-Qaeda.
La base operativa del network terroristico si trovava in Sardegna.
L'indagine, diretta dalla Procura Distrettuale di Cagliari e
coordinata dal Servizio Centrale Antiterrorismo (Sca) della
Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, ha coinvolto
le Digos di sette province italiane.18 le ordinanze di custodia cautelare nei confronti "di appartenenti ad un'organizzazione dedita ad attività criminali transnazionali, che si ispirava ad al-Qaeda e alle altre formazioni di matrice radicale sposando la lotta armata contro l'Occidente e il progetto di insurrezione contro l'attuale governo in Pakistan"."Dalle conversazioni intercettate tra i componenti della cellula di Al Qaida che ha operato in Sardegna è emersa la presenza in Italia di un kamikaze e l'ipotesi che si progettasse un attentato in Vaticano". Lo hanno riferito gli inquirenti nel corso della conferenza stampa inProcura a Cagliari. L'ipotesi degli inquirenti
che si stesse progettando un attentato in Vaticano "risale al 2010 e
non ha avuto alcun seguito". Lo ha sottolineato padre
Federico Lombardi,
portavoce vaticano, commentando le ipotesi avanzate dopo l'importante
operazione degli uomini dell'antiterrorismo. Ad ogni modo, ha aggiunto, "non si tratta di un fatto oggi
rilevante e non è motivo di particolari preoccupazioni"."Siamo tutti esposti e abbiamo
tutti paura, ma il Papa è molto tranquillo in questo, basta
vedere come incontra le persone con grande lucidità e serenità", ha aggiunto da parte sua il segretario di Stato Vaticano
Pietro Parolin.
Gli investigatori hanno riscontrato che alcuni degli indagati sono responsabili di "numerosi e sanguinari atti di terrorismo e sabotaggio in Pakistan compresa la
strage nel mercato cittadino Meena Bazar in Peshawar il 28 ottobre 2009, dove un'esplosione uccise più di cento persone".
Nel corso delle indagini, afferma ancora la polizia, sono emerse intercettazioni dalle quali risulta che due membri dell'organizzazione hanno fatto parte della rete di fia
ncheggiatori che in Pakistan proteggevano Osama Bin Laden.
Finanziamento reti in Pakistan. L’attività investigativa della Polizia di Stato ha permesso di riscontrare che l’organizzazione criminale aveva a disposizione armi in abbondanza e numerosi fedeli che erano
disposti a compiere atti di terrorismo in Pakistan ed Afghanistan, per poi rientrare in Italia.
L’attività investigativa della D.I.G.O.S. coordinata dal Servizio Centrale Antiterrorismo (S.C.A.) della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, ha riscontrato come il ruolo principale era svolto da un dirigente del movimento pietistico Tabligh Eddawa (Società della Propaganda), il quale, forte della sua autorità religiosa di Imam, e formatore coranico, operante tra Brescia e Bergamo, stimolava la raccolta di fondi, presso le comunità pakistano- afghane, radicate nel territorio italiano.
I fondi venivano inviati in Pakistan mediante membri dell’organizzazione che aggiravano i sistemi di controllo sull’esportazione doganale di denaro.
In un caso è stato riscontrato
il trasferimento di 55.268 euro mediante un volo per Islamabad in partenza da Roma Fiumicino, omettendo di farne dichiarazione di possesso alle autorità doganali. Più di frequente però era utilizzato il sistema cosiddetto “hawala”. Si tratta di un meccanismo di trasferimento valutario e occulto, basato sul legame fiduciario diffuso nelle comunità islamiche europee. Tale sistema consente di trasferire una somma di denaro all’estero consegnandola ad un terminale presente nello Stato estero, detto “hawaladar”, che fornisce un codice identificativo segreto. I beneficiari della rimessa, tramite tale codice, possono prelevare la somma presso l’”hawaladar” della sede di destinazione.
Traffico di migranti. L’attività investigativa della Polizia ha permesso di riscontrare come l’organizzazione provvedeva ad alimentare la rete criminale destinando una parte del proprio impegno al fenomeno dell’introduzione illegale sul territorio nazionale di cittadini pakistani o afghani che in taluni casi venivano anche destinati verso alcuni paesi del nord Europa.
Per eludere la normativa che disciplina l’ingresso o la permanenza sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari, gli indagati utilizzavano sistemi semplici e collaudati. In alcuni casi facevano ricorso a contratti di lavoro con imprenditori compiacenti in modo da poter ottenere i visti di ingresso. In altri casi percorrevano la via dell’asilo politico facendo passare gli interessati, attraverso documenti falsi e attestazioni fraudolente, per vittime di persecuzioni etniche o religiose.
L’organizzazione forniva supporto logistico e finanziario ai clandestini, assicurando loro: patrocinio verso i competenti uffici immigrazione, istruzioni sulle dichiarazioni da rendere per ottenere l’asilo politico, apparecchi telefoni e sim, contatti personali.