martedì 26 marzo 2024
Udienza movimentata per decidere se abrogare le regole federali che oggi consentono di prescrivere il misoprostolo con molta libertà, senza controllo medico o per posta. Sentenza in giugno
La manifestazione a Washington dei sostenitori del "diritto di abortire"

La manifestazione a Washington dei sostenitori del "diritto di abortire" - Ansa

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La Corte Suprema di Washington torna a occuparsi di aborto: in quasi due ore di discussione, martedì 26 marzo, i giudici hanno esaminato la questione sollevata da un gruppo di medici pro life della Alliance Defending Freedom per la libertà religiosa e di coscienza che contestano il provvedimento col quale la Food and Drug Administration – Fda, l’ente federale statunitense che regolamenta i farmaci – ha voluto estendere l’accesso alla pillola abortiva, cercando di bilanciare gli effetti del verdetto col quale la stessa Corte aveva cancellato la sentenza Roe vs Wade che nel 1973 legalizzò l’aborto in tutti gli Stati Uniti. La “sentenza Dobbs” del giugno 2022 aveva restituito ai singoli Stati la piena potestà di concedere, limitare o sospendere il “diritto di abortire".

Davanti alla sede della Corte un imponente schieramento di polizia ha tenuto distanti le due manifestazioni contrapposte che si sono radunate per farsi sentire dai giudici. Ma a far notizia in quello che doveva essere un semplice dibattimento, in attesa della sentenza prevista a fine giugno, è stato l’atteggiamento dei giudici di nomina presidenziale repubblicana, che a sorpresa hanno sollevato riserve rispetto alla legittimazione dei medici di contestare le modifiche apportate dalla Fda nella commercializzazione e nell’uso del mifepristone, il principio attivo della pillola abortiva.

Se dal giudice Elena Kagan, nominata da Obama, ci si poteva attendere che giudicasse infondata la legittimazione ad agire in giudizio dei ricorrenti, non vedendo come siano stati danneggiati dalla decisione della Fda, dal giudice Neil M. Gorsuch, nominato da Trump, è arrivata una critica nei confronti dei medici pro life che, a suo avviso, sarebbero già tutelati dal diritto di ricorrere all’obiezione di coscienza. Da un’altra giudice conservatrice, Amy Coney Barrett, sono stati espressi dubbi sulla portata effettiva dei danni alla salute provocati dal mifepristone e dunque sulla fondatezza del ricorso.

I legali dell’Alliance Defending Freedom da parte loro hanno sostenuto che le donne con problemi di salute causati dall’assunzione di mifepristone si presentano al pronto soccorso sottraendo risorse e mettendo in discussione il diritto all’obiezione di coscienza. La contestazione è tutt’altro che infondata: gli aborti negli Stati Uniti hanno sfondato la quota di un milione in un anno, con una crescita del 10%, e i due terzi sono ottenuti ricorrendo alla pillola abortiva, sempre più spesso prescritta a distanza e senza alcuna visita del medico alla donna in gravidanza, secondo quanto concesso dalla Fda. Un atteggiamento leggero che causa frequenti visite al pronto soccorso per gli effetti della pillola abortiva, notoriamente pesanti, specie se l’assunzione avviene senza alcun controllo medico. Ha avuto facile gioco dunque Erin Hawley, avvocato di Alliance Defending Freedom, nel sostenere che l’eliminazione del rapporto diretto tra medico e paziente ha «trasformato i pronto soccorso in visite di controllo».

I giudici della Corte Suprema dovranno valutare entro quale limite la pillola possa essere prescritta e se possa essere spedita per posta, come spesso accade (un lascito della gestione Covid delle interruzioni di gravidanza). Il mifepristone era stato approvato nel 2000 per gravidanze fino a sette settimane, ma con tre passaggi: una visita medica per la prescrizione, un’altra per ottenere il misoprostolo che serve per l’espulsione del feto, e una terza di follow-up per escludere complicazioni. La Danco Laboratories, che produce il mifepristone, aveva poi chiesto che fossero allentati i vincoli per il suo uso. Jessica Ellsworth, legale della Danco, ha protestato contro i medici pro life: «Questi individui vogliono impedire a chiunque altro di usare il farmaco».

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