sabato 14 maggio 2016
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Caro direttore, il voto sulla legge per le unioni civili ci ha lasciati perplessi per molti motivi. Per ora mi soffermo solo sulla modalità e cioè sul voto “disgiunto”: fiducia e scrutinio palese. In realtà palesi entrambi, ma con diverso peso e finalità. Già le interviste raccolte da “Avvenire” a parlamentari cattolici di partiti della maggioranza ne hanno spiegato la portata. Non votare la fiducia sarebbe equivalso a togliere il consenso al governo con quello che ne segue in termini di stabilità e di continuità nel processo delle riforme. Il secondo voto, invece, è sostegno a una legge che è difficile da accettare nella formulazione finale. Le leggi sono meglio rispettate quando non sono ambigue. Ormai la frittata è fatta. Vorrei solo umilmente ricordare che il referendum sull’aborto vide una percentuale di voti popolari a favore ben superiore (più del 67%) dei voti contrari in Parlamento. Il messaggio è lo stesso: i cattolici sono “irrilevanti” in Parlamento perché nella società non sono vivi e condivisi i valori, di cui sono portatori, fondati su quell’umanesimo di cui c’è tanto bisogno per una convivenza davvero degna. Perciò, direttore, è importante e faticosa la sfida che ci attende. Non ci sarà una nuova generazione di politici cattolici formati, se prima non sarà recuperata la loro formazione sociale. Non si ricattano Governo e Parlamento «ci ricorderemo a ottobre», piuttosto si prepara una generazione che si “sporchi le mani” con la politica. Si incomincia dal basso, anche nelle amministrazioni municipali. Con stima e affetto per tutti i politici che accettano la fatica di questa forma di carità, oggi spesso incompresa.Mariapia Garavaglia Caro direttore, «Ho giurato sulla Carta, non sul Vangelo». Con tutto rispetto, la Carta è perfettibile perché scritta da uomini, il Vangelo ti perfeziona perché Parola di Dio. Se questo Renzi non lo capisce... Preferisco guardare all’esempio di re Baldovino del Belgio: si autosospese pur di non firmare la legge sull’aborto. Che tristezza, come dice papa Francesco, i «cristiani fai-da-te». Buon lavoro. Don Andrea Vena Bibione (Ve) Caro direttore,  desidero innanzitutto manifestare il massimo rispetto per tutti coloro che hanno espresso o stanno esprimendo la loro contrarietà con varie motivazioni alla legge sulle unioni civili votata dal Parlamento e voluta dal Governo: parlamentari, cittadini (cattolici e no), la Cei, lo stesso “Avvenire”, altri giornali, esperti vari, compreso l’intervento del dottor Gandolfini portavoce del Family Day. Al riguardo devo confessarle però tutto il mio sconcerto per il fatto che il medesimo dottor Gandolfini abbia decisamente “debordato” dalla questione in discussione (le unioni civili, appunto) per entrare a gamba tesa sul Governo Renzi e sul referendum costituzionale di ottobre. Il dottore passa, secondo me un po’ disinvoltamente, dall’espressione di una legittima contrarietà alla legge a una valutazione squisitamente di politica generale, in particolare sul Governo Renzi, le sue riforme, le sue prospettive. E in queste valutazioni sommarie non va tanto per il sottile, fino a giudicare il governo Renzi il più antidemocratico della Repubblica (cose già sentite da vari leader politici e da vari soloni del giornalismo di destra, di sinistra, di centro, di sopra e di sotto…). Liberissimo ovviamente il dottor Gandolfini di avere le sue opinioni sul Governo Renzi, ma tali opinioni dette e divulgate in questa circostanza, con queste modalità, con queste parole, mi fanno venire due sospetti: il primo che il dottore, oltre al grande impegno per la famiglia, manifesti anche un grande impegno politico/partitico e “approfitti” della presente circostanza; il secondo, anche se il Dottore lo nega, è che quel «ci ricorderemo di te al referendum» agli orecchi di molti suona come una bella “vendetta”. Mi spiace che “grandi e nobili” battaglie siano svilite da secondi fini con dichiarazioni politiche sommarie, catastrofiche. In questo periodo la frase «fermare Renzi» è diventata uno sport nazionale: il dottor Gandolfini si trova proprio “in bella compagnia”... Lodovico Villa, Gandosso (Bg)Caro direttore, la misura à colma! Addirittura la fiducia anche alla Camera sulle unioni civili. Un provvedimento, questo, che interpella non la testimonianza politica, ma la coscienza personale. Ho finora aderito alle idee moderate e moralmente buone del partito – pure di governo – Area Popolare. Laddove Ap non prenda doverosamente le distanze dalle posizioni maggioritarie nel Partito Democratico, è mio intendimento prendere a mia volta decisa distanza dal “mio” partito, almeno fino a quando non dimostrerà autonomi comportamenti rispetto all’alleato. Giuliano Vaccari, Rovereto (Tn)Caro direttore,  con tutto il rispetto, è un po’ tardi titolare oggi «Una legge sbagliata» per l’approvazione del testo sulle unioni civili. Così come sarà un po’ tardi titolare domani «Una legge sbagliata» quando passerà il vero e proprio matrimonio omosessuale. È solo questione di tempo. Secondo me, con franchezza, “Avvenire” dovrebbe ammettere che ha sbagliato l’impostazione fin dall’inizio, che l’idea di una “terza via italiana” era utopistica, politicamente sbagliata e prevedibilmente perdente. La storia non si fa con i “se”, ma di certo la posizione “mediana” di “Avvenire” ha perso. Forse quella della resistenza a oltranza avrebbe prodotto maggiori risultati, di certo avrebbe creato meno confusione. E l’appello a una resistenza “blanda” (resilienza) che trapela dall’editoriale del 12 maggio 2016 del professor D’Agostino non è affatto incoraggiante per il futuro, perché sembra non cogliere il valore epocale del voto di ieri. Se questa legge resta, il matrimonio va in crisi ancora di più, perché è noto che la legge contribuisce a educare la società, nonostante noi ci impegneremo sempre a vivere, individualmente, la famiglia al meglio. Ma non basterà di certo! Mi spiace, da lettore assiduo di “Avvenire” sono amareggiato, ma mi tocca dirle: ve l’avevamo detto. Che triste giorno. Buon lavoro. Giovanni De Marchi, Milano Caro direttore,  so di andare contro corrente, a fronte di altre opinioni espresse in questa rubrica. Senza girarci attorno: nonostante i due voti di fiducia (che non mi sono piaciuti) sulle unioni civili si è giunti a mio parere a un “onorevole compromesso”, meglio il bicchiere mezzo pieno che mezzo vuoto. Non le nascondo che avrei visto volentieri un riconoscimento di “Avvenire” ai «cattodem», pur oggi in netta minoranza nel Pd, che hanno condotto una battaglia di coerenza, dimostrando che si può stare in politica con la schiena dritta, lavorando con tenacia a un nobile compromesso nonostante il fronte politico-mediatico tutto a favore del ddl Cirinnà prima maniera. Quello che non ho condiviso, invece è il commento del presidente e portavoce del Family Day, che giudica tutto al negativo il risultato raggiunto e vendicativamente annuncia al premier Renzi e al Pd che alle prossime prove delle urne, a partire dal referendum sulle riforme istituzionali (ma che cosa c’entra?) «ci ricorderemo». Per fortuna che siamo nell’anno della Misericordia! Accetto la sua opinione, ma non questo stile che non mi sembra affatto «cattolico a tutto tondo»… Antonio Bodon Le tante lettere e le diverse opinioni che piovono in redazione in queste ore sottolineano ciò che è comunque evidente: questo passaggio legislativo ha lasciato il segno prima ancora che la norma sulle unioni civili sia divenuta operante. Ci sarebbe da stupirsi se accadesse il contrario. Le leggo e rifletto con attenzione, e consiglierei anche ai politici – comunque la pensino e abbiano deciso, se siedono in Parlamento o del Parlamento condizionano le scelte – di fare altrettanto. Lo facciano, se ne sono capaci, senza iattanza e senza presunzione. Solo una notazione, tra le tante possibili. Ciò che diciamo oggi – e cioè che così com’è siamo davanti a «Una legge sbagliata» – l’abbiamo detto e stradetto per mesi. Indicando un’altra prospettiva: la «via italiana», appunto, alla regolazione delle unioni tra persone dello stesso sesso che tenesse in considerazione valori costituzionalmente definiti e richiamati fortemente e impegnativamente dalla Consulta che nel 2010 aveva messo in mora il Parlamento. Abbiamo perso, dice il dottor De Marchi. È vero, abbiamo perso e l’abbiamo scritto subito, nell’editoriale di Francesco D’Agostino che ha commentato il sì finale al ddl Cirinnà-Lumia. Come hanno perso altri: né più né meno. Ma senza il rimpianto di avere detto solo “no”, e a prescindere, a una legge che andava ormai fatta per indicazione esplicita della Corte costituzionale del Paese di cui siamo cittadini e che a colpi di casi esistenziali, sentenze giudiziarie, strappetti amministrativi e iniziative mediatico-propagandistiche si stava, poco a poco, facendo da sola. Anch’io, però, continuo a pensare che, così, con questo testo, nessuno ha vinto davvero. In democrazia succede e – come ho ricordato più volte nella mia carriera di cronista e di commentatore – i cattolici, a differenza di altri, sanno perdere, senza insultare e senza rassegnarsi, continuando a impegnarsi alla luce del sole. Sono sicuro che anche stavolta tutto questo potrò continuare a dirlo con verbi al presente e non al passato o astiosamente al futuro. I cattolici non sono quelli del “ve l’avevo detto” e neanche quelli del “ci ricorderemo”. Accettano, come altri e più di altri, la fatica di valutare il merito di ogni problema per poi decidere con bussola certa e con tutta la carità necessaria. La chiamiamo anche «bene comune», e non è un modo di dire, ma di pensare, di fare, di vivere.Marco Tarquinio
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