Chef Kevin Gaddi con Emanuele - .
«Ho conosciuto Emanuele Spessotto all’Ospedale di Udine, e ho deciso che non potevo starmene con le mani in mano. Così il 5 luglio, insieme a Mirko Ricci e Igor Pezzi, ho lanciato l’iniziativa benefica 'Un piatto per la ricerca', coinvolgendo il mondo della ristorazione».
Kevin Gaddi, chef a Udine e presentatore di diverse trasmissioni tv in Italia e a Londra, ha dato vita a una raccolta fondi a favore dell’associazione Mitocon onlus, che studia e cura le malattie mitocondriali sostenendo chi combatte queste patologie. I ristoranti di tutta Italia potranno aderire proponendo nel loro menù «un piatto per la ricerca» apponendo sulla porta d’ingresso un’etichetta identificativa. A oggi hanno confermato la loro adesione più di duecento locali, da Milano a Palermo, oltre al primo all’estero, a Palma di Maiorca, e presto ne aderiranno anche nel Regno Unito.
Emanuele è un ragazzo friulano non ancora diciottenne, a cui nel 2015 è stata diagnosticata la sindrome di Kearns-Sayre, rara malattia mitocondriale che gli ha fatto perdere la vista obbligandolo poi a un trapianto di cuore. «Durante un controllo cardiologico i medici hanno riscontrato tre trombi e ci hanno detto che sarebbe morto da un momento all’altro se non avesse ricevuto un cuore nuovo, che incredibilmente è arrivato in due giorni», racconta Andrea, il papà di Emanuele.
«Sei mesi dopo l’operazione, ha subìto un arresto cardio-respiratorio e da quel momento si trova in ospedale. Sono 346 giorni consecutivi, tengo il conto. Sembrava si fosse ripreso, poi un secondo arresto mentre era in terapia intensiva. Si è ripreso anche da questo, ma ci ha rimesso l’uso delle gambe perché nelle due ore di rianimazione il sangue non è arrivato agli arti inferiori. Tre mesi dopo, ancora un arresto cardiaco. Poi la tracheotomia. Un calvario, non ci sono altre parole per definirlo. Non avrebbe dovuto più parlare, mangiare e camminare. Invece Ema parla, mangia, ascolta le opere liriche e guarda programmi di cucina, le sue passioni. Non so dove trovi la forza che dimostra. Con mia moglie e due zie gli garantiamo assistenza continua: tutta la nostra vita è in quel letto di ospedale. Sappiamo che la raccolta fondi non servirà a far guarire Ema, ma potrà convincere tanti ad aiutare a ricerca».