Gli scranni dell'aula del Senato - Ansa
Nove articoli, identici nella sostanza al testo naufragato con la fine della precedente legislatura: così si presenta il nuovo disegno di legge sul vita, a prima firma di Alfredo Bazoli, capogruppo dem presso la Commissione giustizia di Palazzo Madama. La bozza normativa vuole disciplinare il suicidio assistito, facendo proprie le sollecitazioni rivolte al Parlamento dalla Corte costituzionale con la sentenza 242 del 2019. Ma a tratti le allarga, ponendo gravi interrogativi etici prima ancora che giuridici.
Il primo articolo del testo enuncia le finalità del disegno di legge, ovvero dare la possibilità di porre fine volontariamente alla propria esistenza, qualora ci si trovi affetti da patologie irreversibili, e con prognosi infausta, oppure da una condizione clinica irreversibile, in presenza di alcune ulteriori condizioni.
Il secondo articolo definisce invece la «morte volontaria medicalmente assistita», riferendola a un atto autonomo che deve essere compiuto dal soggetto che vuole cessare di vivere, in modo dignitoso e consapevole, con l’aiuto del Servizio sanitario nazionale.
Il terzo articolo si addentra poi nei requisiti che deve possedere l’aspirante suicida: essere maggiorenne, capace di assumere decisioni consapevoli, adeguatamente informato, munito della volontà di non ricorrere alle cure palliative (o di interromperle), in possesso di una certificazione medica che attesti la presenza di una patologia compatibile con le previsioni dell’articolo 1, e sottoposto a trattamenti di sostegno vitale. Sulle cure palliative, però, il testo sembra andare ben oltre il suggerimento della Consulta: mentre i magistrati costituzionali, nella sentenza 242 del 2019, avevano infatti scritto che la sottoposizione concreta del paziente a queste terapie avrebbe dovuto essere elevata a «prerequisito» per l’accesso al suicidio, la bozza di legge pare ritenere sufficiente la mera volontà di rifiutare queste cure, con ciò ampliando così di fatto il numero delle persone che possono chiedere e ottenere la morte volontaria.
Al numero successivo, il 4, si leggono invece le caratteristiche di forma e sostanza che deve avere la richiesta di accedere alla morte: questa deve essere attuale, libera e consapevole, può venire revocata in ogni momento, e se una paziente non è in grado di renderla in forma scritta, può essere usato un qualsiasi altro mezzo.
Le “garanzie” a tutela del paziente che vuole morire sono invece indicate nell’articolo 5, a norma del quale le procedure per il suicidio devono essere attuate da strutture del Servizio sanitario nazionale, cui è demandata la verifica sull’esistenza delle condizioni indicate nei precedenti articoli.
L’articolo 6, scaturito da accese discussioni durante i lavori della precedente legislatura, riconosce il diritto dei medici a sollevare obiezione di coscienza, esonerandoli in questo caso dall’assistenza nel suicidio (ma non dagli atti precedenti, che sono comunque tenuti ad assicurare).
Si giunge così all’articolo 7, che costituisce i soggetti chiamati a valutare la presenza – in capo a chi chiede il suicidio –, delle condizioni indicate dalle precedenti norme: vengono così a esistere i “Comitati per la valutazione clinica”, la cui regolamentazione viene però demandata al Ministero della Salute.
A seguito di tutto ciò, il testo dell’articolo 8 precisa che, con il rispetto di tutte le condizioni di legge, nessun medico o più in generale il personale sanitario può essere condannato penalmente. Il riferimento è all’articolo 580 del Codice penale, che punisce l’istigazione o l’aiuto nel suicidio, e su cui la Corte costituzionale ha aperto una finestra di non punibilità (quella stessa che il disegno di legge vorrebbe ulteriormente precisare).
Infine, l’ultimo articolo, il 9, prevede che le disposizioni della nuova legge non debbano causare ulteriori oneri economici per il Servizio sanitario nazionale, che non deve vedere incrementi di organico.
Il quadro è complesso: questo testo sembra non accontentare né l’area culturale che considera la vita umana un bene indisponibile né i fautori dell’eutanasia per tutti. Certo è che, in alcune sue previsioni, come per esempio quella sulle cure palliative, il suo disposto “apre” alla morte più di quanto ammesso dalla Corte costituzionale. E l’assenza del governo a quello che avrebbe dovuto essere l’incardinamento in commissioni congiunte Affari sociali e Giustizia del disegno di legge, è un indubbio segnale del dissenso persistente attorno a questo tema.