La recente legge 5/2025 “Modalità organizzative per la procedura medicalizzata di assistenza al suicidio” della Regione Toscana apre una falla pericolosa per l’introduzione del suicidio assistito e dell’eutanasia anche in altre Regioni italiane.
La Toscana, con l’approvazione della sua legge, diventa la prima Regione a garantire ai malati tempi e modalità certi per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, ma presto potrebbe essere seguita da altre, come il Veneto, e forse dalla Lombardia.
Finisce così di fatto la tutela del diritto alla vita, fino a oggi costituzionalmente garantito e protetto. Questa è la conclusione logica di modi di pensare e concezioni del mondo e della vita che si sono affermate soprattutto nell’era contemporanea.
Esse vanno ricercate in atteggiamenti e comportamenti culturali che si sono andati diffondendo attraverso modelli di vita, ideologie e dottrine libertarie e radicali che hanno come suprema istanza la libertà. Una libertà senza vincoli e senza responsabilità, ma solo per chi è in grado di farla valere.
Nell’ambito di questo scenario, noi assistiamo a fenomeni mai registrati prima nella storia dell’umanità. Come quello dell’“occultamento della morte”. Per questo si propone a volte la sua anticipazione indolore, facendo appello all’autonomia assoluta dell’uomo, quasi egli fosse il padrone della sua vita.
In questa ottica si fa leva sul principio di autodeterminazione e si giunge a esaltare il suicidio e l’eutanasia come forme paradossali di affermazione e insieme di distruzione del proprio io.
In un contesto culturale e ideologico di questo tipo, che abbiamo potuto evidentemente delineare solo a grandi linee, si spiegano le sempre più frequenti campagne di opinione per introdurre nel nostro ordinamento giuridico l’eutanasia e il suicidio assistito.
È evidente che l’accettazione culturale e giuridica dell’eutanasia o del suicidio assistito è un messaggio pericoloso non solo per la nostra società ma anche per le future generazioni e per l’umanità intera. Al di là delle convinzioni religiose personali, infatti, non v’è dubbio che la vita debba terminare così com’è iniziata: naturalmente. Non può l’uomo impadronirsene. L’eutanasia rientra quindi in un contesto che vede prevalere la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere.
Discorso a parte è quello relativo all’accanimento terapeutico. Il concetto della terapia di entità proporzionata, in questo caso, è interpretata correttamente se sta a significare che il dolore e la sofferenza non devono essere superiori all’effetto positivo ottenuto attraverso tale terapia.
Questo vuol dire che uno Stato che si rispetti e una comunità che voglia definirsi civile devono incrementare sempre più la ricerca e investire risorse consistenti, sicuramente superiori a quelle attuali, nella terapia del dolore e nelle cure palliative con l’obiettivo di ridurre e lenire al massimo le sofferenze di chi nel dolore è al termine della propria esistenza.
In quel momento occorre fare in modo che nessuno sia e si senta mai abbandonato a sé stesso, solo dinanzi al dolore e al buio.
Occorre far sentire all’ammalato che la comunità gli è vicina, che la famiglia non lo abbandonerà mai, che i medici hanno fatto tutto quello che era nelle loro possibilità, che i servizi socio-sanitari sono stati efficienti. In questo clima, con questo calore attorno, difficilmente ci sarà chi potrà pensare di ricorrere all’eutanasia o al suicidio assistito.
Presidente nazionale
*Comitato tecnico-scientifico Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti)