L'area del Cimitero Vantiniano di Brescia dove sono inumati i resti di bambini non nati - Ansa
Nel dubbio, dai la colpa a un’associazione pro-life. Sembra lo slogan che ispira le informazioni circolate negli ultimi giorni sulla sepoltura in campi appositi dei cimiteri di feti abortiti in modo spontaneo o volontario alle prime settimane di gravidanza citando sulla lapide il cognome ma senza ottenere prima il consenso della madre (o della coppia). Dopo il caso del Cimitero Flaminio di Roma, ora quello del Cimitero Vantiniano di Brescia con la drammatica vicenda di mamma Anna, del suo aborto spontaneo alla 12esima settimana nel 2015 e della scoperta che i resti di quella morte prematura erano inumati non solo con il nome "collettivo" di Celeste ma anche con il suo cognome, senza che lei avesse dato a chicchessia alcun consenso. Di chi sarà la colpa di quello che il Garante per la Privacy sospetta sia un vero e proprio abuso? Delle associazioni impegnate per promuovere la vita umana, ovviamente.
Ma se la notizia delle croci con i cognomi è vera e verificata, quella del coinvolgimento dell’associazionismo laico d’ispirazione cristiana è falsa e facilmente smontabile. Peccato che tutti i media – dalle agenzie ai quotidiani, ai siti web – l’abbiano presa per buona senza la fatica di una banale telefonata di verifica. Chi ha dato la notizia – spesso usando le stesse parole – avrebbe evitato così di scrivere che, nel caso di Brescia, «è l’associazione cattolica del Movimento per la Vita a farsi carico di tutto, dal recupero dei feti negli ospedali pubblici e privati al funerale e alla sepoltura». E allora, perché hanno preso per vero a prescindere quanto asserito da chi si batte per smascherare le violazioni della privacy (in testa l’avvocata Cathy La Torre)?
Appreso di essere stato chiamato in causa nella vicenda dei seppellimenti con lapidi nominative, il Movimento per la Vita bresciano (che si è sciolto nel marzo di quest’anno confluendo nel Centro di Aiuto alla Vita Brescia 2), per voce del suo ultimo presidente Saulo Maffezzoni, ha spiegato la sua totale estraneità: «Noi facciamo solo la parte della preghiera, dell'accompagnamento, della vicinanza, dell'amicizia al bambino non nato e alle famiglie, quando ci sono, al cimitero – dichiara Maffezzoni –. L'intera procedura del seppellimento dei bambini non nati, che comprende il dare e lo scrivere il nome e cognome, è a cura del Comune, dell'Ospedale e del Cimitero».
Il Movimento chiarisce in un comunicato di Federvita Lombardia, guidata da Elisabetta Pittino, come «non sappia nulla relativamente ai bambini e alle loro famiglie, chi sono, da dove vengono, se sono lì in seguito ad aborto spontaneo o volontario». I volontari «non sanno né nomi né tanto meno cognomi dati a questi bambini, sconosciuti al Movimento per la Vita». «Il Cimitero – precisa Maffezzoni – ci avvisa quando avviene la sepoltura. Noi, i volontari che possono, andiamo a dire una preghiera, per il bambino, se è da solo, insieme alla famiglia se è accompagnato. Viene anche un sacerdote che dà una benedizione alla piccola salma». Nomi e cognomi sulle croci «non li conosciamo». Al Cimitero si incontra la sofferenza di tante persone, che si sentono lasciate sole di fronte a un dolore indicibile: «Molte di queste tombe sono piene di fiori e di simboli, tante famiglie presenti piangono e portano fiori a questi bambini e ringraziano questa associazione, che neppure conoscono, per la vicinanza».
Come fonte Maffezzoni è tutt’altro che laconica, davvero strano che nessun giornalista si sia sentito in dovere di consultarlo, come invece ha fatto Avvenire: «Abbiamo iniziato questa opera di misericordia negli anni '90, perché nessuno andava a pregare sulle loro tombe per questi bambini – spiega –. Sono contento che ci sia il Regolamento di Polizia mortuaria e le varie normative, perché significa che lo Stato laico è attento alle persone. È molto positivo il fatto che un ente laico si premuri di seppellire anche i bambini non nati». Ma – dice a una voce con Elisabetta Pittino – «è grave mettere il cognome dei genitori sulla tomba del bambino senza alcuna previa autorizzazione».
Per questo nel comunicato si esprime «solidarietà alla donna bresciana che dichiara di avere trovato il suo cognome sulla tomba del figlio abortito», auspicando che «venga chiarito al più presto se ci sia stata violazione della privacy». Dal canto suo la presidente della rete di Centri e Movimenti per la Vita in Lombardia aggiunge che «nella cultura greca e romana, dalle quali deriva la nostra, il morire insepolti era una maledizione. Penso che sia segno di rispetto e di civiltà che uno Stato si prenda cura della sepoltura anche di bambini nascituri, qualsiasi sia la causa della morte, a qualunque religione appartengano, che abbiano una famiglia o che siano da soli, che abbiano un nome o che siano senza nome. Perché il bambino concepito è uno di noi». Chi sta cercando, allora, di gettare fango sulle associazioni per la vita italiane, e perché?