Le cure in un un reparto di terapia intensiva - IMAGOECONOMICA
Un contributo importante per fare chiarezza su uso e scopi della sedazione palliativa è la Linea guida promossa dalla Società italiana di cure palliative (Sicp) e dalla Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), che hanno radunato un gruppo di esperti anche di altre società scientifiche: Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), Simeu (Societa italiana medicina d’emergenza-urgenza), Simg (Societa italiana di medicina generale), Fadoi (Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti-Societa scientifica di medicina interna), Aniarti (Associazione nazionale infermieri di area critica).
Del gruppo di lavoro faceva parte Augusto Caraceni, docente e direttore della Scuola di specializzazione in Medicina e cure palliative dell’Università di Milano e direttore dell’Unità di cure palliative dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano: «L’importanza di questo lavoro è duplice: da un lato la Linea guida è inserita nel Sistema nazionale delle linee guida garantito dall’Istituto superiore di sanità (Iss), con una metodologia internazionale rigorosa che serve a valutare le evidenze scientifiche più accreditate».
Dall’altro, prosegue Caraceni, «la responsabilità attribuita alla Sicp e alla Siaarti conferisce autorevolezza alla Linea guida, che presenta un livello elevato di affidabilità perché è stato esaminato tutto quanto la letteratura scientifica internazionale più aggiornata può offrire sull’argomento, arricchendola con la propria esperienza di professionisti in prima linea nelle cure palliative e di fine vita». In definitiva, una Linea guida che rappresenta quanto di meglio la scienza medica può offrire in tema di sedazione palliativa. E che offre un’articolata disamina dei diversi farmaci utilizzabili, delle dosi, delle circostanze di utilizzo e persino dei costi.
A partire dalla definizione di procedura che mira a controllare sofferenze causate da sintomi refrattari, la Linea guida «punta a uniformare la pratica clinica». E «mette bene in evidenza – puntualizza Caraceni – che le sedazioni fatte in maniera corretta non abbreviano la vita e non possono essere confuse con pratiche come il suicidio assistito o l’eutanasia».
Non è il dolore il sintomo prevalente che fa ricorrere alla sedazione: «Il puro dolore incoercibile – riferisce Caraceni – è responsabile solo del 2-3% dei casi di sedazione palliativa. Oltre il 90% è invece dipendente da due sintomi: dispnea (cioè mancanza di respiro) e delirium (vale a dire stato confusionale, allucinazione)».
La sedazione palliativa «è praticata su una malattia inguaribile e progressiva. Nei fatti, di solito, vi si ricorre nelle ultime giornate di vita: oltre il 90% nelle ultime 72 ore. Rappresenta una procedura – conclude Caraceni – che garantisce che, se anche alla fine della vita, si può ancora lenire la sofferenza e garantire la dignità della persona».