Bianco Natale. Bianco come i camici dei medici e come le lenzuola dei letti in ospedale. Anche qui sarà Natale. C'è chi è degente da giorni e vede proprio nel 25 dicembre una ineludibile data entro la quale puntare alle dimissioni. “Riesce a mandarmi a casa per la vigilia, dottore?”. Frase che mai come in questi giorni rimbomba nei cuori in allarme di migliaia di malati e tra le nosocomiali pareti di sospese stanze di vita quotidiana. Nulla forse come l’ospedale è vigilia. Costante, febbrile o paziente attesa di una venuta e di un ritorno. Quello della salute persa o minata. Ma proprio nel pieno di questa settimana che precede il Natale chi ai ricoverati d'Italia dà ogni giorno risposte sul campo ha dovuto ancora una volta alzare la voce e incrociare i proverbiali bisturi per una sanità pubblica sempre più ferita. Alla faccia delle politicanti promesse che tre anni fa si alternavano, a pioggia, a elogi e ringraziamenti per quanto fatto da medici e infermieri durante la pandemia. Ma è ancora Natale. Ed è sempre vigilia per quel mondo parallelo che è l'ospedale. Con il suo riciclo incessante di popolo. Perché è democratico, l’ospedale. Parafrasando il De Gregori de “La storia”, l’ospedale siamo noi, nessuno si senta escluso. Allora è vigilia per tutti, per chi è dentro, e per chi aspetta a casa quel natalizio ritorno di chi prima era sano.
"Mi dimetteranno prima del 25, o dovrò passare le feste in corsia?". Quanti pazienti si stanno ponendo questa domanda. Molti sanno già che non potranno uscire. Una voce, a nome di tutti
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