martedì 17 marzo 2015
L'ospedale Careggi di Firenze, primo in Italia a praticare l'eterologa, rompe un tabù: non ci sono donatrici, se si vogliono reclutare si stabilisca un compenso. Un solo donatore maschio.
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Nell’ottobre 2014 è stato il primo ospedale pubblico italiano a praticare la fecondazione eterologa, con ovociti comprati all’estero, vedendo poi ingrossarsi la lista d’attesa delle coppie infertili in cerca di un figlio grazie al battage delle autorità regionali sulle asserite capacità della struttura di soddisfare le richieste di procreazione artificiale con gameti altrui anche oltre i confini territoriali. Ma oggi dall’Ospedale Careggi di Firenze arriva la comunicazione di resa: non ci sono donatori italiani. In febbraio la struttura aveva reso noto di aver stanziato la bella somma di 650mila euro per acquistare gameti maschili e femminili in centri specializzati oltre confine, di fatto alimentando il libero mercato della vita (si era parlato di quattro multinazionali che commerciano in sperma e ovociti), proprio per l’impossibilità di reperire donatori italiani che in base alla normativa vigente e in assenza di regole specifiche sull’eterologa – si adottano le stesse per la donazione di sangue o di midollo –, non possono naturalmente essere retribuiti. Primo ad avviare l’eterologa, il Careggi è ora anche il primo a fare i conti col problema che «Avvenire» denuncia da anni: nei Paesi dove l’eterologa è legale non c’è donazione di gameti ma solo compravendita. In Italia, come noto, l’eterologa è legale è da un anno, per effetto della controversa sentenza della Corte Costituzionale accolta con grande entusiasmo ma che ora mostra il limite dell’aver creato di fatto un grave vuoto normativo. Elisabetta Coccia, che dirige il centro di procreazione medicalmente assistita del policlinico fiorentino, è molto onesta e pone le istituzioni finalmente davanti al vero problema: «Bisogna introdurre un rimborso spese, o una forma di premio per la donna che si offre come donatrice» anche se rifiuta la definizione di «compravendita»: «Se lo prendiamo come atto di solidarietà vero, si tratta solo di trovare una formula relativa a un impegno quotidiano di una giovane donna che comunque ha offerto i propri gameti. Anche il discorso del servizio in sé, del costo dei gameti, è un servizio che si paga. I servizi diagnostici sono comunque a carico dell'azienda, e così il trattamento farmacologico e così via». Qui però il discorso si fa più complesso, e mostra tutti i limiti evidenti di un solidarismo (con relativa gratuità) che si può immaginare solo in casi rari e ben precisi: «Non si paga la donatrice in sé – argomenta il medico del Careggi –. Si chiede un rimborso perché, realisticamente, lei in quei giorni si è assentata da lavoro o, se studentessa, non è andata a lezione», e qui la quantificazione del danno economico diventa francamente ardua. Se per la donazione maschile i problemi sono di accettabilità dei campioni (un solo donatore è stato ritenuto idoneo in un anno) il percorso della donazione per la donna è davvero pesante comportando un impegno «in media di due settimane, oltre alla fase diagnostica». L’aspirante donatrice «deve presentarsi sei, sette volte, per colloqui, ecografie, dosaggi ormonali, esami genetici, esami infettivologici, e così via. Dopodiché è indispensabile un trattamento farmacologico con punture quotidiane per circa 12 giorni, e venire personalmente a fare i controlli ecografici fino a che gli ovuli si sono sviluppati al punto da poter sottoporsi all'intervento chirurgico, per il prelievo degli organi. È un impegno forte, e composto di una parte invasiva». Bisogna retribuire, e non certo in modo simbolico. Fatta uscire dalla porta, la compravendita rientra dalla finestra. Anche perché nel frattempo le cliniche private non stanno alla finestra e fissano le tariffe di mercato. Una conferma arriva proprio dal caso del centro romano Alma Res Fertility dove il 9 marzo è stata annunciata la nascita di due gemelli frutto di fecondazione eterologa – i primi venuti al mondo in Italia con questa tecnica – grazie alla "donazione" di ovociti da parte di una studentessa italiana, che poi ha raccontato alla stampa la sua storia. Un fatto che non poteva passare inosservato alle autorità sanitarie: lunedì la clinica ha ricevuto la visita dei Nas incaricati di raccogliere informazioni sulle modalità di prelievo, conservazione e utilizzo dei gameti, sulla gestione del rapporto tra la giovane e la coppia destinataria e ovviamente dell’eventuale pagamento. Intanto il Parlamento – ripetutamente sollecitato invece sul fine vita, con significativo appoggio mediatico – continua a restare inerte sulla spinosissima materia, malgrado l’estate scorsa il governo gli avesse lasciato la responsabilità di disciplinare un terreno. Sul quale ora ci si rende conto, un anno dopo la sentenza della Consulta, che occorre stendere una rete di regole stringenti, chiare e condivise.

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