Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita - Ansa
na posizione radicata nel magistero della Chiesa sulla vita umana, informata sulle questioni etiche e scientifiche sollevate dai nodi sempre più complessi delle scelte di fine vita, e realista quanto alle evidenze della cronaca e della politica. È quella espressa da monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, nella nota in cui interviene per chiarire il vero senso di alcune sue dichiarazioni nell’intervento a un dibattito sul tema organizzato nei giorni scorsi nell’ambito del Festival internazionale del giornalismo di Perugia, parole che – ritagliate ad arte dal resto del discorso – erano state interpretate quasi come un dietrofront della Chiesa e dello stesso arcivescovo nel dibattito sul suicidio assistito nel nostro Paese. Per spazzar via gli equivoci, Paglia anzitutto «ribadisce il suo “no” nei confronti dell’eutanasia e del suicidio assistito, in piena adesione al Magistero», per poi richiamare il suo intervento al convegno, ben più ampio delle poche espressioni rilanciate sui social per farne oggetto di un attacco diretto (con il conseguente rimbalzo acritico su piattaforme e profili), alla fine del quale «ha accennato, senza svilupparla, alla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 e alla specifica situazione italiana. La Corte – puntualizza la nota della Pontificia Accademia – conferma l’assistenza al suicidio come reato» ed «elenca poi quattro condizioni specifiche e particolari nelle quali il reato è depenalizzato. In questo preciso e specifico contesto, monsignor Paglia ha spiegato che a suo avviso è possibile una “mediazione giuridica” (non certo morale) nella direzione indicata dalla sentenza, mantenendo il reato e le condizioni in cui si depenalizza». È su questo terreno, assai ben delimitato dai giudici, che «la Corte Costituzionale ha chiesto al Parlamento di legiferare». A parere di Paglia «è importante che la sentenza affermi che il reato resta tale e non viene abolito», punto centrale di ogni riflessione su una eventuale legge in materia, che tuttavia non risulta nell’agenda parlamentare. «Qualsiasi ulteriore considerazione – specifica la nota – è fuorviante. Sul piano scientifico e culturale, monsignor Paglia ha sempre sostenuto la necessità di un accompagnamento nei confronti dei malati nella fase terminale della vita, basato sulle cure palliative e sulla vicinanza, in modo che nessuno sia lasciato da solo di fronte alla malattia e alla sofferenza, nelle difficili decisioni che queste comportano».
Dopo l’acceso confronto che nella precedente legislatura spaccò il Parlamento tra i sostenitori di una norma che aprisse, a condizioni ben precise o meno, alla legalizzazione dell’aiuto medico alla morte volontaria e i contrari a una breccia nell’ordinamento italiano a qualunque forma di sostegno attivo al morire, le Camere hanno preferito votare nella recente legge di bilancio un perentorio invito alle Regioni per implementare il loro piano territoriale per le cure palliative portando questo accompagnamento medico e umano alla morte naturale a disposizione dei nove decimi dei cittadini entro cinque anni. Obiettivo ambizioso, certo: ma, mentre l’Aifa vuole rendere universale l’accesso gratuito alla contraccezione, è doveroso universalizzare le cure palliative trasformando un diritto sinora quasi solo declamato (nella legge 38 del 2010) in una realtà disponibile davvero per tutti. Senza ulteriori ritardi, né cedimenti a percorsi di morte.