Anche i neonati notevolmente prematuri, se adeguatamente trattati, possono sopravvivere già a 22 settimane, molto prima di quanto i medici finora ritenessero possibile. Lo studio è dell’Università dell’Iowa ed è stato pubblicato sul
New England Journal of Medicine. Basato sull’esperienza di 24 ospedali tra il 2006 e il 2011, per un totale di 5mila bambini nati tra le 22 e le 27 settimane di gravidanza, rileva una percentuale di sopravvissuti ancora piccola, ma statisticamente significativa.
Tra i nati a 22 settimane – due settimane prima dello standard di 24 – i bambini trattati attivamente avevano quasi 1 possibilità su 4 di sopravvivere. Un bambino nato prima del tempo non è ancora pronto per adattarsi alla vita fuori dal grembo materno: presenta un’immaturità della maggior parte di organi e apparati. L’entità dei danni, che possono coinvolgere il sistema respiratorio, neurologico e metabolico, varia in base al livello di prematurità. Su 78
bimbi che si è scelto di rianimare dopo 22 settimane
di gestazione, 18 sono sopravvissuti: fra questi, 6 hanno riportato
gravi disabilità, 7 non hanno mostrato finora problemi particolari. Una
notizia incoraggiante per pediatri e neonatologi che, spostando
indietro l’età accettata per la cosiddetta 'viabilità' (che definisce
gli standard per quanto concerne aborto e terapia intensiva neonatale) è
destinata a rinfocolare il dibattito che coinvolge genitori, medici e legislatori. «
Per valutare lo studio, bisogna anzitutto vedere come è stata definita l’età gestazionale – commenta Costantino Romagnoli, presidente della Società italiana di neonatologia –: se è calcolata dalla mancata mestruazione o con l’ecografia che, però, non tiene conto dei giorni in cui l’ovulo fecondato deve ancora impiantarsi». Sono proprio questi giorni in più o in meno a pesare, spiega Romagnoli: «Il neonato che ha compiuto 22 settimane più un giorno ha possibilità di sopravvivenza, perché di fatto è entrato nella 23esima settimana». La medicina ha compiuto molti progressi in questo campo. La percentuale di sopravvivenza dei bambini nati 'altamente pretermine' è aumentata negli ultimi 10 anni del 10%, per i nati tra la 24esima e la 25esima settimana, e del 16% tra quelli nati tra la 26esima e la 27esima settimana. «Faccio questo mestiere da più di 40 anni – conferma il neonatologo – e ho vissuto un’epoca in cui era un problema una nascita a 34 settimane e 2 chilogrammi di peso: oggi questi bambini vanno in stanza con la madre».
Ma qual è l’età minima in cui oggi è ragionevole e possibile ritenere che questi piccolissimi pazienti possano farcela? Molto dipende dall’autonomia respiratoria, chiarisce Romagnoli. «Se analizziamo lo sviluppo del feto nel grembo materno, vediamo che i polmoni cominciano a funzionare alla 23esima settimana compiuta, ma ci sono alcune patologie come l’ipertensione che possono produrre uno stress fetale e determinare un’accelerazione dello sviluppo degli organi». Una discriminante sostanziale deriva anche dall’ospedale in cui avviene la nascita prematura. «Vi sono grandi differenze tra i centri neonatologici – dice il presidente della Sin – ce ne sono di più attrezzati e di meno preparati, quelli in cui un’emergenza di questo tipo capita due volte l’anno e altri che ne vedono una ventina. Elementi che, uniti alla presenza di personale adeguatamente formato, incidono sulla sopravvivenza». Insomma, notizie positive, ma con cautela. Da un lato per non illudersi con facili entusiasmi in situazioni complesse, dall’altro per non rischiare di scivolare nell’accanimento terapeutico: ogni neonato prematuro è un caso a sé, da valutare volta per volta. «
È molto difficile che un neonatologo 'lasci perdere' un bambino, anzi!» precisa Romagnoli. «Ma dobbiamo ricordarci che non siamo onnipotenti e avere la consapevolezza dei limiti da rispettare. Il nostro approccio è di relazione diretta con il nascituro: il bambino che nasce a 23 settimane di gestazione e ha segni di vitalità è sempre rianimato e portato in terapia intensiva. Di fronte a una nascita a 22 settimane, prima di tutto cerchiamo di capire qual è la vera età gestazionale, sapendo che anche pochi giorni fanno la differenza. Poi, al momento del parto, teniamo conto dei segni clinici». Una valutazione secondo scienza e coscienza che si conferma fattore oggettivo ed essenziale.