Emmanuelle Charpentier, a sinistra, e Jennifer Doudna - Ansa / Epa
Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna – francese la prima, americana la seconda – si dividono il Nobel per la Chimica annunciato ieri dall’Accademia delle Scienze di Stoccolma. Sono le prime due donne a condividere il riconoscimento, a buon diritto «madri» entrambe di una delle più innovative scoperte della biochimica e della medicina, nota come Crispr-Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic
Repeats), più semplicemente nota come «taglia e cuci del Dna» per correggere anomalie genetiche. Ed è una lettura al femminile del Nobel quella di Charpentier: «Spero che questo riconoscimento sia un messaggio positivo per le ragazze che vorrebbero seguire la strada della ricerca» ha detto. La speranza è che questo Nobel «dimostri alle più giovani che le donne possono avere un impatto attraverso le ricerche
che svolgono» Emmanuelle Charpentier è nata nel 1968 a Juvisy-sur-Orge, ha completato gli studi all’Istituto Pasteur e lavora a Berlino, dove dirige l’Istituto Max Planck per le Scienze dei patogeni.
Jennifer A. Doudna, classe 1964, è originaria di Washington, e dopo gli studi all’Università di Harvard si è trasferita all’Università Berkeley, in California, dove lavora. Nel giugno 2012 le due scienziate avevano
descritto sulla rivista Scienceil nuovo strumento divenuto noto come «forbici molecolari », una scoperta definita dagli accademici svedesi «rivoluzionaria»: viene così premiato – aggiunge la commissione
del Nobel – «un metodo di editing genetico» che «contribuisce allo sviluppo di nuove terapie contro il cancro e può realizzare il sogno di curare malattie ereditarie».
Un premio «meritatissimo, emozionante, una conquista»: è il commento di Angelo Vescovi, direttore scientifico di Casa Sollievo della Sofferenza di San Pio. La loro scoperta «rappresenta un salto concettuale sul modo in cui è possibile intervenire sul genoma umano e di altre specie viventi. Esistevano già metodi di manipolazione del Dna, ma con Crispr è possibile effettuare alterazioni più specifiche e programmate».
Con l’editing genetico «si è aperta un’enormità di possibilità di futuri sviluppi in ambito biologico, biochimico, medico, di produzioni agroalimentari – commenta Luigi Lucini, biochimico dell’Università Cattolica –. Questo può voler dire contrastare in modo efficace alcune malattie, soprattutto di base genetica, oppure interagire con i meccanismi alla base dell’infezione da parte dei virus o, in pianta, migliorare la resistenza alla siccità o a un patogeno, potendo utilizzare meno pesticidi». Ci sono però anche
«nodi etici. Nel momento in cui parliamo di umani c’è un’implicazione enorme da considerare, ossia l’opportunità che queste tecniche siano effettivamente utilizzate o meno».
Le forbici molecolari con cui tagliare con precisione il Dna hanno vinto il Nobel. Non è stata una scelta inaspettata: quella premiata è una delle intuizioni più rivoluzionarie degli ultimi anni, che ha introdotto mutamenti radicali in tanti ambiti del sapere scientifico e medico. Non si contano le pubblicazioni che contengono l’impronunciabile ma riconoscibilissima sigla Crispr-Cas9 con cui si identifica lo strumento molecolare ideato da Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna – le due studiose premiate ieri – che consente di 'tagliare e incollare' il genoma degli esseri viventi con una precisione e facilità mai viste prima.
L’idea di intervenire a livello molecolare sul Dna non era nuova: è la tecnica del gene editing, ma è geniale la realizzazione dell’assemblaggio molecolare per applicarla. Una potente procedura con tante promettenti potenzialità nei più svariati settori, dall’ambientale al medico passando per l’agroalimentare, che è uscita dagli addetti ai lavori raggiungendo l’opinione pubblica non per la sua straordinaria accessibilità ed efficacia ma per le sue possibili, controverse applicazioni sui gameti umani (spermatozoi ed ovociti) destinati alla riproduzione e sugli embrioni umani.
Utilizzare Crispr-Cas9 su cellu- le somatiche, infatti, rientra nelle problematiche già note della terapia genica: sicuramente vi sono molti aspetti etici da considerare, ma non si fanno nascere esseri umani con il Dna manipolato, con un genoma trasmissibile alle generazioni successive, come invece avverrebbe se si 'editassero' – cioè se si sottoponessero al gene editing – embrioni umani o gameti per la fecondazione in laboratorio.
Il primo ingresso delle nuove forbici molecolari nel dibattito pubblico è avvenuto nella primavera di cinque anni fa, con due lettere pubblicate su Nature e Science («Don’t edit the human germlin», 12 marzo 2015: «A prudent path forward for genomic engineering and germline gene modification», 19 marzo, quest’ultima firmata fra gli altri, anche da Jennifer Doudna).
Due testi frutto dell’allarme suscitato nella comunità scientifica dalla notizia che circolava in quei mesi di embrioni umani sottoposti a gene editing da parte di gruppi di ricerca cinesi (e in effetti poco dopo le lettere sono stati pubblicati due studi cinesi su embrioni editati, con risultati riconosciuti da tutti insoddisfacenti).
Con toni diversi, le due lettere illustravano la Crispr-Cas9 e le sue grandi opportunità, ma al tempo stesso esprimevano grande preoccupazione per le possibili manipolazioni su embrioni umani o gameti utilizzati per il concepimento in vitro: tutti i firmatari chiedevano di non avviare gravidanze con embrioni editati o formati da gameti editati.
Su Nature, con espressioni più perentorie, si chiedeva una moratoria sugli esperimenti spiegando che «non possiamo immaginare una situazione in cui il suo uso negli embrioni umani potrebbe offrire un beneficio terapeutico oltre i metodi già esistenti. Sarebbe difficile controllare esattamente quante cellule sono state modificate. L’effetto preciso della modificazione genetica di un embrione potrebbe essere impossibile da conoscere fino a dopo la nascita. Inoltre, potenziali problemi potrebbero non emergere per anni».
Le obiezioni della lettera di Nature continuano a essere valide, confermate dalla ricerca, come riconosciuto dal recente rapporto «Heritable Human Genome Editing» elaborato da una commissione internazionale costituita ad hoc e pubblicato a cura delle National Academies of Medicine and Science (Stati Uniti) e della Royal Society (Regno Unito), di cui Avvenire ha dato conto il 1° ottobre. La tecnica è attualmente giudicata inutilizzabile per far nascere bambini con Dna modificato, e a leggere il rapporto sorgono dubbi sul fatto che potrà mai essere sfruttata a questo fine.
D’altra parte nulla si sa sulle condizioni di salute delle due gemelline cinesi nate con Dna editato, come annunciato due anni fa dal ricercatore cinese He Jiankui che ha condotto l’esperimento, condannato dal mondo intero. Nel frattempo tantissimi sono stati i pronunciamenti da parte di comitati etici, organismi istituzionali e non, nazionali ed internazionali, con diversi orientamenti.
Anche il nostro Comitato nazionale per la Bioetica si è occupato del tema, con un parere del febbraio 2017 «L’editing genetico e la tecnica Crispr-Cas9: considerazioni etiche», in cui era concorde sulla moratoria per l’avvio di eventuali gravidanze con embrioni editati, mentre si era diviso sulla ricerca pre-clinica fra chi era a favore e chi contro. I primi ribadivano l’importanza di aumentare le conoscenze scientifiche anche con studi solo in vitro. Chi si opponeva – tra loro, chi scrive – portava considerazioni presenti anche in «Heritable Human Genome Editing» e nella lettera su Nature, ad esempio il fatto che l’analisi degli embrioni manipolati in vitro non è sufficiente a determinare la riuscita del gene editing: per valutare l’efficacia della manipolazione genetica è necessario trasferire gli embrioni in utero, portare a termine la gravidanza e monitorare la condizione dei nati a lungo termine, fino alle generazioni successive. Un esperimento inaccettabile.
Molto si è discusso in questi anni sulle possibili forme di governance della ricerca sul gene editing, in generale, e sono state ipotizzate diverse possibilità. L’Oms lo scorso anno ha annunciato l’istituzione della «Who Expert Advisory Committee on Developing Global Standards for Governance and Oversight of Human Genome Editing», che esaminerà gli aspetti «scientifici, etici , sociali e legali connessi all’editing del genoma umano», allo scopo di disegnare una possibile governance della ricerca.