Soddisfatti o rimborsati: è la promessa di una delle cliniche che hanno presentato i loro servizi al Salone della fecondazione assistita di Parigi «Désir d’enfant» - Foto Carlotta Cappelletti
Questo servizio è frutto di una collaborazione tra Avvenire e la Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata (Ciams), che raggruppa una 40ina di associazioni femministe e in difesa dei diritti umani in 13 diversi Paesi. L’autrice, Carlotta Cappelletti, giurista e militante femminista, ha visitato il Salone della procreazione assistita "Désir d’enfant", che si è svolto per la seconda volta a Parigi sabato 4 e domenica 5 settembre. «Ho assistito a questo salone per testimoniare la commercializzazione della maternità surrogata sul suolo europeo. È una pratica che noi della Ciams consideriamo come un’ennesima forma di sfruttamento delle donne, contraria ai loro diritti, oltre che lesiva dei diritti dei bambini», spiega Cappelletti. Il Salone, accanto a pratiche ammesse come la fecondazione assistita in tutte le sue varianti, propone anche attività che in Francia (così come in Italia) sono proibite, come appunto l’utero in affitto. Per questo la Coalizione la settimana scorsa aveva presentato un esposto al prefetto di Parigi chiedendo che annullasse una manifestazione contraria all’ordine pubblico. La richiesta non ha avuto risposta.
Sono le 11 di un sabato mattina (il 4 settembre, ndr), il sole fa capolino in una giornata che a Parigi si annuncia variabile, non si capisce se sarà bella oppure piovosa. Parcheggio il motorino davanti all’Espace Champerret, dove si tiene nel weekend l’evento Désir d’enfant, desiderio di un figlio. Subito mi trovo davanti i contestatori della Gravidanza per altri (Gpa), le femministe da una parte e i cattolici dall’altra. Due mondi diversi, ma che condividono la battaglia contro una pratica che considerano contraria alla dignità umana e ai diritti delle donne e dei bambini: la maternità surrogata, pubblicizzata al Salone parigino, che è arrivato alla sua seconda edizione. All’entrata controllano i biglietti, le borse, e i Green pass. Poi scendo le scale, lo spazio di esposizione è sotterraneo. Strana coincidenza: si sceglie uno spazio dal sapore un po’ losco, buio, per pubblicizzare una pratica che resta illegale sul suolo francese. Strana coincidenza o scelta azzeccata, penso fra me e me.
Un momento delle proteste davanti al Salone di Parigi: le attiviste della Coalizione per l’abolizione della maternità surrogata vestite in rosso come "ancelle" - Foto Cappelletti
Entro nei locali, al mio fianco l’amica che ha acconsentito ad accompagnarmi in questa avventura esplorativa. Facciamo un giro, gli stand delle varie cliniche sono a ridosso l’uno dell’altro: foto di donne incinte, coppie felici con i loro bebè fra le braccia, bambini gioiosi, ritratti di famiglie radiose che sembrano avere realizzato il loro "désir d’enfant", desiderio di genitorialità. Ci sono cliniche spagnole specializzate nella fecondazione in vitro, una cipriota leader nel trasporto di materiale genetico, e poi le cliniche di maternità surrogata (o di sostituzione), tutte americane, tranne una ucraina.
Un momento delle proteste davanti al Salone di Parigi: le attiviste della Coalizione per l’abolizione della maternità surrogata vestite in rosso come "ancelle" - Foto Cappelletti
Ci dirigiamo verso la prima conferenza alla quale vogliamo assistere. Si parla di maternità surrogata, prendono la parola un papà e un’avvocata francesi e una madre surrogata americana. La mia attenzione si rivolge in un primo momento al pubblico, che non è particolarmente numeroso. Saremo una decina ad assistere. Ci sono coppie gay, e, con mia grande sorpresa, noto diverse ragazze sole. Le ritroverò poi alle altre conferenze, e una di loro a uno stand di maternità surrogata.
La procedura viene descritta dal giovane papà come un’idilliaca avventura, «un percorso umanamente straordinario». I suoi occhi brillano, ci dice di essere il padre felice di due bambini, nati ovviamente grazie all’utero in affitto. Ci descrive questa avventura come magica, ci dice che lui e il suo compagno considerano la madre surrogata come «un membro della famiglia», e ovviamente a supporto delle sue considerazioni mostra su uno schermo foto con i figli, il compagno e lei. Sono tutti sorridenti e sembrano davvero una famiglia felice. «Se dovessi tornare indietro rifarei tutto, senza alcun dubbio, mi rilancerei in questo percorso esattamente nello stesso modo», con gli occhi lucidi questo papà ci fa comprendere quanto per lui tutto sia stato perfetto. La madre surrogata, in piedi accanto a lui, lo guarda commossa. In quel momento mi sento travolgere da una serie di sensazioni che non lasciano spazio alla comprensione o alla tenerezza. A essere onesta, mi sembra uno spettacolo teatrale neanche troppo ben recitato. Certo, per il pubblico poco informato, che realmente prende in considerazione l’idea di poter intraprendere la stessa strada, questa descrizione deve essere stata illuminante.
L’avvocata francese, invece, ricorda a chiare lettere che la Gpa è illegale in Francia, ma che non è assolutamente un delitto se ci si reca all’estero. Vuole rassicurare il pubblico, si rivolge a noi come «voi, futuri genitori intenzionali», termine giuridico utilizzato per identificare la coppia, o la persona, che sceglie di avere un figlio tramite la maternità surrogata. Un brivido mi percorre la schiena. Io non vorrò mai fare un figlio così. I donatori di gameti maschili e femminili si scelgono su un catalogo, e ovviamente ogni clinica vanta il proprio come il migliore e il più fornito. Per la madre surrogata stessa cosa, si sceglie su un database quella che più "corrisponde" alle nostre personalità, alle nostre inclinazioni.
La dottoressa della San Diego Fertility, che ha 17 anni di esperienza alle spalle, ci spiega che uno o due embrioni possono essere impiantati nell’utero della madre surrogata, ma che è consigliato impiantarne soltanto uno perché meno rischioso. La cosa interessante però è che alla domanda «quanti embrioni possono essere impiantati?», risponde: «Quanti ne volete». Rimango sbalordita: ci ha appena detto che già impiantarne due è rischioso, ma volendo potremmo utilizzarne anche tre o quattro, o forse più? In fondo, come in ogni attività commerciale, l’importante è che il cliente sia soddisfatto. Spesso vengono ripetute frasi come «noi siamo qui per aiutarvi a realizzare il vostro sogno», «per accompagnarvi in questo cammino verso la genitorialità». In poche parole, le cliniche sono lì per soddisfare ogni vostra domanda, come se stessero vendendovi un appartamento. Se il primo non vi piace, perché poco luminoso, ve ne offriamo un altro, e poi un altro ancora, fino a che la domanda non incontra l’offerta.
La presenza di giornalisti o "infiltrati" è ben nota agli organizzatori, che bisbigliano fra di loro: «Ci sono non pochi giornalisti che si aggirano fra gli stand». Nonostante lo spettro di cronisti che si muovono in incognito all’interno del salone, i cosiddetti "esperti" sembrano disponibili a rispondere a tutte le mie domande.
È così che mi viene detto dalla rappresentante di una clinica americana, senza ritegno alcuno, che se voglio spendere di meno posso chiedere una madre surrogata canadese, «perché in Canada», prosegue, in teoria dovrebbero ricevere solo un «rimborso spese, ma in realtà è un pagamento», mi dice. Essendo però la legge nel Paese nordamericano più restrittiva, le madri sono pagate meno e quindi questo permetterebbe ai genitori intenzionali di ridurre un po’ i costi. Addirittura nel pomeriggio si tiene una conferenza dedicata al "controllo dei costi".
Ci spiegano come ridurre la spesa, scegliendo programmi con maggiori o minori garanzie, oppure evitando l’esame dei cromosomi alla creazione dell’embrione per individuare eventuali malattie o determinare il sesso prima dell’impianto in utero.
Per quanto riguarda il materiale genetico, che deve essere reperito e preparato come prima parte del processo, la pandemia non ha fermato il mercato. Anzi, ha permesso alle cliniche Usa di trovare un sistema che con ogni probabilità verrà utilizzato anche quando l’emergenza dettata dalla circolazione del virus sarà superata: il congelamento dello sperma. Prima del Covid-19 nel caso il maschio (o uno dei maschi) della coppia avesse voluto donare il suo sperma avrebbe dovuto andare di persona negli Stati Uniti. Con la chiusura delle frontiere si è trovata un’alternativa: tramite collaboratori o rappresentanti sul suolo europeo, le cliniche americane possono ricevere lo sperma congelato direttamente nei loro laboratori, e la persona in questione non sarà costretta a recarsi sul luogo. Si tratta di un viaggio in meno, e sicuramente i costi si riducono.
Quello che scopro è che una donna single che non ha a disposizione un donatore di sperma può scegliere di utilizzare un embrione già preparato. Mi viene spiegato che quando si fanno le fecondazioni in vitro si creano diversi embrioni, ma non tutti possono essere impiantati nell’utero della madre (surrogata o biologica). Così si può scegliere cosa fare degli embrioni in eccesso: li si può distruggere, si possono donare alla ricerca, o si può acconsentire che vengano congelati e utilizzati successivamente. Oppure possono essere rivenduti per l’utilizzo da parte di altre coppie o donne single.
Il professionista che mi illumina sulle mie possibilità in quanto aspirante madre single mi dice che se scelgo un embrione già creato invece di ricorrere a due donatori spendo molto meno. La creazione di un embrione costa «all’incirca 50mila dollari – prosegue –, invece se ne scegli uno già pronto paghi un terzo». Certo, «lo svantaggio è che c’è meno scelta...». Lo guardo sbalordita: non capisco a cosa si riferisca e lui, molto gentilmente, mi spiega che, per quanto più a buon mercato, di embrioni congelati non ce ne sono tantissimi. Se scelgo direttamente i donatori ho una gamma di possibilità molto ampia. Ancora una volta, non posso fare a meno di pensare che si tratta di una pratica commerciale a tutti gli effetti, con la quale io posso pensare di crearmi un bambino su misura. È chiaro che se voglio essere sicura che abbia gli occhi marroni come i miei devo spendere un po’ di più, ma se mi accontento e corro il rischio che abbia gli occhi azzurri risparmio un bel po’ di soldi. È come se stessi scegliendo un mobile da Ikea: quelli già pronti costano meno, ma se voglio farmelo su misura e comporlo a mio piacimento devo pagare di più. La differenza è che a "Désir d’enfant", si parla di bambini, di esseri umani, il cui interesse superiore – che tanto sembra stare a cuore ai nostri governanti – non è certo quello di essere comprati o venduti.
All’esterno, il salone è circondato da slogan e manifesti che gridano «Stop» alla vendita di bambini e allo sfruttamento delle donne e delle loro capacità riproduttive. Le organizzazioni femministe e cattoliche non accettano che i bambini siano considerati come un prodotto da commercializzare, da vendere. Mentre parlo con un rappresentante di una clinica mi cade, involontariamente, il biglietto da visita di una dottoressa che lavora in un altro centro di fertilità, e il signore in questione mi dice: «Ah, lei è andata dai nostri concorrenti». Perché di questo si tratta: di un mercato, con venditori, clienti, reali e potenziali, e concorrenza. Si giustificano i prezzi sulla base della qualità e sulla base delle "garanzie ". Ad esempio, prezzi più elevati corrispondono a un miglior trattamento e pagamento della madre surrogata. A uno stand mi è stato detto che il costo totale è di circa 150mila dollari ma la madre surrogata si mette in tasca all’incirca 45mila dollari, col tono però di chi vuole intendere che è ben pagata. Strano. la mia riflessione è stata decisamente nel senso opposto: e gli altri 105mila dollari a chi vanno? Qual è il reale profitto delle cliniche? Non crea alcun problema dire quanto la madre surrogata si mette in tasca, ma certo non si svela con altrettanta facilità il margine di guadagno di queste "fabbriche di bebé".
Ciò che in fondo mi rimane da questa esperienza sono una domanda e la conferma di una consapevolezza che già avevo fatto mia. La domanda è: riuscirà l’umanità a porsi dei limiti o continuerà a oltrepassarli fino a quando scienza e tecnologia lo permetteranno? La consapevolezza, invece, è quella che non tutto ciò che può essere realizzabile deve essere, di fatto, realizzato. In inglese, lingua più concisa e sintetica, si direbbe The fact that you can it doesn’t mean that you should (il fatto che puoi farlo, non significa che dovresti farlo, ndr). Ci sono diritti – in questo caso quelli delle donne e dei bambini – che non possono essere sacrificati in nome di un desiderio. Perché un desiderio, benché legittimo, non sempre è un diritto.
E SPUNTA LA DATA ITALIANA
Il calendario delle prossime Fiere della procreazione assistita - Foto Cappelletti
Il Salone della fecondazione assistita di Parigi non è una novità: se ne tengono regolarmente in tutta Europa e anche fuori dai confini del Vecchio Continente. Mai in Italia, però, dove l’articolo 12 della legge 40 punisce con il carcere e con una multa chiunque «in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità». Ma a Parigi è stato presentato il calendario dei prossimi appuntamenti. Accanto a Colonia e Berlino, città già avvezze a ospitare una Fiera destinata a promuovere le più disinvolte pratiche per esaudire i desideri di ogni possibile aspirante genitore, a sorpresa spunta un prossimo appuntamento in Italia. "Un sogno chiamato bebè" si svolgerà per la prima volta a Milano, il 15 e 16 maggio 2022. Esiste già un sito internet, un modulo di iscrizione, si specifica che l’ingresso è gratuito e c’è la possibilità di abbonarsi a una newsletter per restare aggiornati. Già in passato alcune cliniche straniere avevano provato a organizzare incontri con possibili clienti italiani, ma si erano limitate al passaparola e a appuntamenti semiclandestini nelle salette di importanti hotel di Milano e Roma. Sarebbe la prima volta, invece, che agirebbero alla luce del sole. (A.Ma.)