giovedì 14 dicembre 2023
Dopo la morte di Anna a Trieste, "approvata" dalle autorità sanitarie del Friuli Venezia Giulia, il no di quelle umbre a una richiesta analoga per mancanza di uno dei requisiti dettati dalla Consulta
L’Umbria nega il suicidio assistito. Ogni Regione va per conto suo?
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’Usl Umbria 1 ritiene che «non ci siano i presupposti per esprimere un parere favorevole» dopo la richiesta di verifica delle condizioni di salute per accedere al suicidio assistito avanzata da Laura Santi, perugina di 48 anni affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla. Secondo l’associazione radicale Luca Coscioni, che ne dà notizia, il gruppo multidisciplinare della Usl ha confermato che la donna «è affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili; è capace di prendere decisioni libere e consapevoli; ha una dipendenza totale e continuativa da terze persone in ogni attività quotidiana non è tenuta in vita almezzo di trattamenti di sostegno vitale ai sensi della sentenza della Corte costituzionale numero 242\2019».

Manca dunque una condizione tra le quattro fissate dalla Consulta nel verdetto sul caso Cappato-dj Fabo, e di conseguenza non si può accordare il consenso all’aiuto medico al suicidio, diversamente da come si è deciso nel recentissimo caso di “Anna”, la 53enne triestina in condizioni analoghe alla quale invece l’autorità sanitaria del Friuli Venezia Giulia ha dato il via libera con l’ausilio di un medico volontario del Servizio sanitario nazionale. Una situazione di difformità operativa tra Regioni incompatibile con la materia della tutela della vita umana, come ha anche segnalato il recente parere dell’Avvocatura dello Stato.
La Usl umbra tira le logiche conseguenze della constatazione giuridica: «In riferimento alle condizioni del richiedente che valgono a rendere lecita la prestazione dell’aiuto al suicidio» il gruppo prende «atto dell’assenza di trattamenti di sostegno vitale e ritiene di conseguenza a maggioranza dei suoi componenti che a oggi non vi siano i presupposti per esprimere un parere favorevole in merito». Un caso identico si era verificato nelle scorse settimane nella Regione Lazio: al diniego dell’accesso al suicidio assistito da parte delle autorità sanitarie regionali, la paziente – Sibilla Barbieri, 58enne attrice malata oncologica terminale – si era fatta aiutare da militanti dell’Associazione Coscioni a portare a termine il suo intento suicida in Svizzera, con gli esponenti radicali che si erano poi autodenunciati al loro ritorno in Italia.
La decisione dell’istituzione sanitaria umbra ripropone la questione dell’incertezza normativa rispetto alle richieste di concludere la propria vita da parte di pazienti che ritengono che la propria situazione sanitaria si sia fatta intollerabile. Decisivo in questa fase l’incontro non con una proposta terapeutica e umana adeguata alla loro condizione, con l’accesso alla rete delle cure palliative, ma con realtà che da tempo conducono un’intensa campagna politica e mediatica per legalizzare l’eutanasia, come accaduto anche con una serie di azioni legali intraprese dall'Associazione in vicende analoghe nelle Marche. La Consulta aveva chiesto un intervento del Parlamento, che ricalcasse le restrittive condizioni di non punibilità di quello che comunque resta un reato, in assenza del quale ogni Regione sembra procedere per proprio conto, con uno scenario di forzatura giuridica e istituzionale che non può non preoccupare.

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