Prima di procedere a considerazioni sui vari disegni di legge che ci vengono proposti all’attenzione, desidero fare una premessa importante sia personale sia a nome dell’Associazione Medici Cattolici Italiani che ho l’onore di rappresentare e che è la seguente: nessuno è proprietario della vita, ma tutti servitori della vita.
Come medici cattolici, cittadini di uno Stato democratico, desideriamo offrire al dibattito in corso il nostro contributo per accompagnare i fragili “con-passione terapeutica” garantendo alta qualità, proporzionalità delle cure, certificazione di servizi. Non possiamo far a meno di riflettere sull’attuale mancanza di strutture assistenziali e formative che rafforzino il ruolo dell’eubiosia e dell’accompagnamento assistenziale e garantire sostegno, non solo sanitario, ma anche familiare e amicale, anche per una sanità di prossimità(domiciliazione).
Per quanto ci riguarda, noi siamo nettamente contrari ad ogni forma di eutanasia/suicidio assistito, perché il medico è per la vita e il fine della medicina è curare sempre anche quando non si può guarire. Qualsiasi processo di cura o di sospensione della cura deve inevitabilmente chiamare in causa il ruolo del medico. Certamente la scelta o la sospensione di presidi medici transita, per comprensione trasversale, attraverso il consiglio clinico, consiglio che invoca di solito quello che è provato e documentato scientificamente.
Ricordiamo che, affinché una procedura possa essere definita medica deve rispondere a requisiti di sostenibilità scientifica, cioè deve essere trasferibile secondo criteri di qualità e di Ebm (Medicina basata sulle evidenze). L’Ebm va collocata al primo posto e deve svolgere ruolo essenziale nelle scelte di politiche sanitarie oltre che nella pratica medica.
Come medici cattolici siamo fermamente convinti che l’eutanasia e il suicidio assistito non sono conciliabili con la funzione, la prassi, la tradizione del medico e con le finalità, gli scopi e gli obiettivi della medicina, giacché l’aspetto curativo dell’arte medica non può trasformarsi in un gesto che porta alla morte.
Assolutamente respingiamo le proposte di legge che hanno finalità francamente eutanasiche. Le altre ci invitano a ricercare, come si dice, il male minore. Ma noi vorremmo essere invitati a ricercare la migliore soluzione per il bene possibile. Siamo consapevoli che in una società pluralista non si può pretendere di far coincidere la sfera etica con quella giuridica ma siamo altrettanto convinti che depenalizzare un’azione ingiusta non equivale a renderla come giusta e, soprattutto, in ogni caso non possiamo chiamare bene ciò che è male sul piano morale.
Non vogliamo comunque sottrarci a una riflessione sull’argomento, e per entrare nel merito, tra i disegni di legge proposti alla attenzione, quello che cerca di normare i principi sanciti dalla Corte Costituzionale nella sentenza 242/2019, è il ddl n.104, già proposto nella scorsa legislatura ed approvato alla Camera dei deputati che poi non ha proseguito l’iter al Senato per la fine anticipata della legislatura.
5. In particolare nella presentazione dei vari articoli di cui si compone il ddl n.104, troviamo delle affermazioni da noi sempre sostenute e in particolare quando si riconosce che il primo e più importante tra i diritti è quello alla vita, che la nostra Costituzione repubblicana riconosce tale e su cui si fonda la nostra democrazia, la nostra società, la nostra comunità civile; come anche viene scritto nel ddl che il diritto alla vita è, riporto testualmente: «un diritto da tutelare sempre, senza distinzione tra persone, senza classifiche sulla qualità della vita, anche e soprattutto quando le persone sono in difficoltà, quando soffrono, quando la condizione è difficile, più difficile e più fragile».
Come medici poi condividiamo quanto più oltre è detto e che noi affermiamo con forza da sempre e cioè che le cure palliative e le terapie del dolore sono ineludibili, ancorché non offerte ed effettuate capillarmente su tutto il territorio nazionale come è dovuto dall’ottima legge 38/2010 e solennemente indicate dalla sentenza 242/2019 dalla Corte Costituzionale e anche perché come è scritto nella suddetta presentazione che cito testualmente: «Non possiamo permetterci che il suicidio finisca per diventare l’unica possibilità, l’unica forma obbligata per evitare di soffrire o, addirittura, che il suicidio assistito rappresenti un alibi per non mettere a disposizione e approntare tutte le cure, in primis quelle palliative e le terapie del dolore».
Non è accettabile per nessun motivo la tendenza ad abolire la sofferenza e il dolore sopprimendo il sofferente. Il medico, che è per la vita, dice no al disumano ragionevole per pietà! Difficile è trovare il labile confine tra il dolore del sofferente e la sua morte, è un filo troppo sottile, quasi invisibile, non facilmente identificabile.
Partendo da queste premesse mi soffermo su alcuni punti del ddl 104.
Si nota preliminarmente che al legislatore sta molto a cuore che ogni scelta decisionale del paziente sia autonoma, attuale, libera e consapevole. Ciò è ripreso in diversi articoli, il 2-3-4, nel rispetto del requisito indicato dalla Consulta, che debba trattarsi di paziente «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». In merito a ciò è da domandarsi però quanto la decisione del paziente sia veramente «libera e consapevole», tenendo conto che trattasi di pazienti affetti da gravi patologie, afflitti certamente anche da ansia, angoscia, disperazione, dolore, ecc. Chi vigila o interpreta che le decisioni prese siano libere e consapevoli? Chi dovrebbe eseguire vigilanza sulla puntuale osservanza della sentenza della Consulta?
Agli articoli 1 e 3 il ddl riprende le note condizioni per accedere al suicidio medicalizzato e alla condizione di “patologia irreversibile”, indicata tra le condizioni nella sentenza 242/2019 il legislatore ha aggiunto “e con prognosi infausta” delimitando, opportunamente, ancor più la irreversibilità. A nostro giudizio, per definire ancor più precisamente questa irreversibilità, andrebbe aggiunta l’indicazione «a breve termine» perché sappiamo che una prognosi, benché infausta, può essere anche a lungo termine.
Ci lascia perplessi nell’art. 3 comma, 2, lettera a) la frase «oppure essere portatore/portatrice di una condizione clinica irreversibile» che cagioni sofferenze fisiche o psicologiche che la persona trova assolutamente intollerabile. La perplessità è che quanto enunciato potrebbe significare che il suicidio medicalizzato riguardi anche soggetti disabili o affetti da una malattia con esito anche solo invalidante e non necessariamente letale. Notiamo che opportunamente rispetto alla sentenza della Consulta che indica che le sofferenze possano essere fisiche oppure in alternativa anche solo psicologiche, sono state invece considerate nel presente ddl insieme «fisiche e psicologiche» che la persona trova intollerabili quale criterio per richiedere il suicidio medicalizzato.
Per quanto riguarda la problematica dei Comitati etici, osserviamo che facendo seguito a quanto disposto dalla sentenza della Consulta 242/2019 è previsto l’istituzione ad hoc del “Comitato per la valutazione clinica” presso le Asl, specificatamente dedicati, che il Ministero della Salute entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge dovrà istituire e disciplinare. Occorre chiarire come questi Comitati debbano essere istituiti e finanziati, visto che all’art. 9 viene chiaramente indicata una clausola di invarianza finanziaria «dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi oneri per la finanza pubblica».
Sembrerebbe al riguardo che la funzione del suddetto Comitato, sarebbe di sola verifica clinico-procedurale e di conformità delle condizioni e dei presupposti; si direbbe una presa d’atto burocratica di tipo notarile in nulla interagendo sulle problematiche etiche nella determinazione delle scelte del paziente.
A nostro avviso sarebbe auspicabile che nell’approvazione di una stesura condivisa si ritrovasse evidenziata l’indispensabilità di quei necessari processi formativi riservati a quanti andranno a comporre i Comitati etici. Si sottolinea l’opportunità che l’attività del Comitato sia svolta tramite figure i bioeticisti accreditati che dovrebbero guidare le fasi antecedenti le decisioni dell’ammalato. L’invio del rapporto al Comitato etico avrebbe così tutti gli elementi per l’assenso o il diniego a procedere.
Infine è da tener conto della recente sentenza della Corte Costituzionale n.135 depositata il 18 luglio 2024, sui «trattamenti di sostegno vitale» (Tsv), che, è da sottolineare, ha ribadito la inderogabilità di essi per accedere alla richiesta del suicidio medicalizzato e che devono essere concomitanti e sussistenti alle altre condizioni prescritte, così che in effetti non è possibile, mancando questi, estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla Corte con la precedente sentenza del 242/2019 e che, è stato ancora evidenziato – cito testualmente – «loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo».
In conclusione, pur tenendo presente che la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 non legittima una generalizzata richiesta di aiuto al suicidio, si auspica che il conseguente intervento del legislatore per l’attuazione di quella sentenza non leda irrimediabilmente e in modo esiziale il principio della indisponibilità della vita. Se ciò avvenisse verrebbero a nostro giudizio minate le basi stesse del diritto, della democrazia e del bene comune, perché verrebbero lesi i principi di solidarietà e di giustizia verso intere categorie di persone fragili, i malati cronici, gli anziani, i disabili, i malati di mente, di cui lo Stato potrebbe negare forme di assistenza e di tutela e di fatto avvalorare forme di eutanasia sociale.
Riconosciamo che al legislatore e alla classe politica, tocca legiferare su materie e questioni certamente divisive, soprattutto nella difficile individuazione del migliore punto di equilibrio, il più appropriato, che possa coniugare il diritto all’autodeterminazione di ciascun individuo al riguardo della propria esistenza e le istanze di tutela della vita umana. Tornando all’esame di tutte le proposte di legge riconosciamo che: chiamano direttamente in causa ed evocano una prestazione sanitaria; vogliono definire un miglioramento della qualità assistenziale; descrivono chiaramente un «percorso assistenziale» (che comunque deve essere contestualizzato da evidenze scientifiche).
Premessi questi tre punti importanti auspichiamo che le proposte legislative (Pdl) in discussione siano: leggibili anche ai riferimenti, ai principi e alle regole della Ebm; aderenti ai criteri della qualità; rispettose di un processo di modellazione funzionale del
percorso assistenziale. Su questi punti poi, volendo fare una revisione tra pari (peer review), dovremmo chiedere con onestà risposte a molti quesiti: è stata eseguita un’analisi dei bisogni? No; è stata eseguita una ricerca delle evidenze scientifiche? No; il corpo dell’evidenza scientifica è adeguato? Non è noto; è stata fatta una previsione di indicatori? No; sono stati individuati dei criteri? No; sono stati ricercati gli standard? No; il percorso delle cure palliative è stato considerato come prerequisito inderogabile? No; viene garantito a tutti i cittadini? No; è considerato priorità assoluta per le politiche della sanità? No; cosa si è fatto per formare e informare il cittadino? Nulla; è stato previsto un processo di formazione per i componenti dei comitati etici? Non è noto; quale metodologia si prevede di seguire per percorsi assistenziali costruiti con criterio (regole)? Non è dato sapere Questi sono gli interrogativi che l’Amci pone per non legiferare al buio o solo tenendo presente ile emozioni.
La risposta a tali quesiti potrebbe rendere più credibile dal punto di vista scientifico e metodologico una procedura sanitaria che noi al momento riteniamo insostenibile e perciò non condivisibile da un punto di vista giuridico, deontologico ed etico. In ogni caso auspichiamo che l’intera problematica del fine vita con tutti i suoi aspetti deontologici, giuridici ed etici venga trattata con massima saggezza ed equilibrio perché possa rappresentare una nuova opportunità e forse finanche una sfida per la classe medica tutta, per un rinnovato mirabile e straordinario impegno professionale, scientifico ed umano nella lotta quotidiana contro la malattia e la sofferenza, sempre per la difesa della vita.
* Presidente nazionale Associazione medici cattolici italiani (Amci)