Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Giustizia - Foti di archivio Ansa
Professor Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Giustizia: dopo il rinvio del voto sulla legge Zan per via del controverso concetto di identità di genere, si affaccia nel dibattito politico italiano un nuovo dossier sensibile con implicazioni etiche molto, molto maggiori: il referendum dei radicali per l’eutanasia legale. Che idea ha maturato circa il quesito sul quale sono state raccolte le firme?
Prima di esprimere un parere, vorrei se possibile fissare delle coordinate senza le quali è difficile capirci e capire, ma che non sono formalismi giuridici.
Prego.
Dobbiamo avere tra le mani vari strumenti. Il primo, il più importante, è la sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale a seguito del caso "dj Fabo - Marco Cappato". Il secondo, il Codice penale, gli articoli 579 sull’omicidio di persona consenziente e l’articolo 580 sull’aiuto al suicidio. Il terzo, la legge 219 del 2017 sulle Dat, Disposizioni anticipate di trattamento. Il quarto, il testo-base sul suicidio assistito da poco approvato nelle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera. Il quinto, infine, il quesito radicale che tante adesioni ha raccolto. Capisce la complessità.
Certo. Proviamo a fare ordine.
Intanto la sentenza della Consulta. È precisa: a fronte di un’ipotesi di reato per Marco Cappato per aiuto al suicidio di dj Fabo, la Corte ritiene parzialmente incostituzionale l’articolo 580 del Codice penale nella misura in cui non contempla quattro circostanze in cui l’aiuto al suicidio andrebbe depenalizzato. Ricordo le quattro circostanze: la persona è affetta da patologie irreversibili, prova sofferenza intollerabile, è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed è capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Attenzione, ricordiamolo, la Corte non reputa incostituzionale il reato di aiuto al suicidio in generale, giudica incostituzionale la punizione dell’aiuto in presenza di queste quattro circostanze.
D’accordo. Lei ricorda questa sentenza, ma il quesito dei radicali non chiede l’abrogazione dell’articolo 580 del Codice penale sull’aiuto al suicidio, bensì l’abrogazione dell’articolo 579 sull’omicidio del consenziente, depenalizzandolo se non per le tre circostanze che la legge già adesso considera omicidio "tout court" anche in presenza di un consenso: l’uccisione di un minore, di una persona inferma di mente, di una persona cui il consenso a essere uccisa è stato estorto con violenza o inganno.
Ed è proprio questo il problema che segnalo. Mentre la sentenza della Corte costituzionale chiede al legislatore di intervenire con puntualità sul 580 e su una parziale depenalizzazione dell’aiuto al suicidio, il quesito referendario depenalizza, diciamolo pure liberalizza l’omicidio del consenziente, salvo le tre circostanze che lei ricordava, le quali annullano il consenso.
Insomma il referendum va ben oltre la sentenza...
Non è questo, o almeno non solo questo, che voglio sottolineare; mi sembra vi sia anche una contraddizione non da poco (non un semplice formalismo). Se il referendum abrogativo è ammesso e poi riceve il consenso dei cittadini, noi avremmo una situazione per cui chi uccide una persona maggiorenne e cosciente di sé che glielo chiede, anche in buona salute, non rischia il carcere; mentre tuttora rischierebbe le sanzioni previste dall’articolo 580 sull’aiuto al suicidio un medico o un familiare stretto o un amico che procura il farmaco letale a una persona che non si trova nelle quattro condizioni indicate dalla Consulta.
Insomma: la questione già molto divisiva e sensibile della "terza persona" che aiuta un suicidio non ha determinate tutele se non ci sono le quattro condizioni indicate dalla Corte; le ha invece, queste tutele, chi uccide una persona sana che glielo chiede perché, magari, stanca della vita?
Già. A meno che non si proceda in modo molto, molto creativo, considerando l’abrogazione del 579 un intervento implicito anche sul 580. Ma non capirei come, perché la Consulta non ha definito incostituzionale il reato di aiuto al suicidio. E i referendum sono solo abrogativi, non esistono referendum che aggiungono o integrano pezzi di legge per via interpretativa. In sostanza si finisce per punire l’aiuto al suicidio ("meno grave") e non l’omicidio del consenziente (che è "più grave").
Insomma, professore, alla luce di tutto ciò, che giudizio dà al quesito referendario?
Mi sembra crei una grande confusione, determinata ancora una volta da una politica che attraverso le leggi penali non vuole più dare certezze ai cittadini, ma far valere una specifica visione della vita. È un andazzo sempre più spinto che preoccupa.
Cosa c’entrano la legge sulla Dat a il ddl in esame sul suicidio assistito, che lei ha citato?
La prima è la legge che già oggi limita l’operatività dell’articolo 579 nel caso in cui il paziente rifiuti ogni tipo di cura o intervento, e che inoltre è indicata dalla Consulta come possibile sede di una correzione dell’articolo 580 negli aspetti in cui esso è dichiarato parzialmente incostituzionale. Il ddl in discussione alla Camera sul suicidio assistito è invece il testo che si è fatto carico, in sostanza, di "trascrivere" le indicazioni della sentenza 242 del 2019 della Consulta. Un dibattito serio e approfondito dovrebbe svolgersi attraverso questi due strumenti.
La Consulta può bocciare il referendum?
Non faccio previsioni. Allo stato mi limito a segnalare che il tentativo referendario mette le basi di nuove ambiguità, nuove contraddizioni e nuove difficoltà interpretative in sede giudiziaria e costituzionale.
Pensa di poter essere ascoltato, dato il "successo mediatico" che sta avendo il principio di autodeterminazione?
Non ho questa pretesa. Credo però che i partiti che ereditano una significativa tradizione culturale oltre che politica dovrebbero prestare più attenzione all’effetto che il principio di autodeterminazione, mal tradotto in leggi confuse e incerte, può avere sulla convivenza civile; al rapporto tra libertà e solidarietà; al grande e "senz’appello" problema del fine vita. Ma su questi punti si potrà, anzi si dovrà tornare in seguito, sperando in un clima di dialogo costruttivo, di rispetto reciproco e non di scontro senza limiti.