giovedì 7 dicembre 2023
Da un gruppo di filosofi italiani di più associazioni una riflessione su cosa insegna sul valore dell'essere umano il caso di Indi, la bambina inglese morta per il distacco della ventilazione
Indi tra le braccia della mamma Claire durante le sue ultime ore

Indi tra le braccia della mamma Claire durante le sue ultime ore - Ansa

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Come studiosi impegnati nella promozione del valore della persona ci sentiamo interpellati dalla vicenda della bimba inglese Indi Gregory e della sua famiglia a proporre un manifesto congiunto con l’intenzione di approfondire programmaticamente quanto segue.

1. La controversa vicenda di Indi evidenzia secondo noi il rischio di un eccessivo potere dello Stato nell’applicare il best interest di un minore. Si tratta di una insidiosa invadenza nella giurisdizione dei genitori (nella fattispecie, una madre e un padre uniti nella volontà di accogliere e accudire la loro figlia gravemente malata fino al sopraggiungere della morte naturale). Per contrastare questo squilibrio tra il potere dello Stato e la potestà genitoriale nei confronti di figli minorenni in situazione di vulnerabilità, noi affermiamo che la “persona” in condizioni considerate inguaribili conserva la sua dignità ontologica e spirituale e che quest’ultima permane sempre a fondamento del diritto. La tutela del diritto naturale alla vita della “persona” costituisce la misura di ogni giudizio deliberativo in campo legislativo, e nessun organo dello Stato può violarla, neanche in nome del cosiddetto best interest, principio peraltro di chiara derivazione utilitaristica, e in quanto tale troppo debole nella salvaguardia del bene incondizionato che è la vita della persona.

2. La vicenda di Indi, pur non assimilabile ai casi di eutanasia infantile, indica il delinearsi nei Paesi economicamente avanzati di una prassi nichilista indifferente e disimpegnata nella ricerca di verità e di bene che ha alle spalle, sul piano antropologico, una concezione efficientista e funzionalista atta a giustificare una cultura dello scarto che guarda le vite più deboli – segnate da disfunzioni e disabilità – come un mero peso sociale e un costo per la sanità e lo Stato. A fronte di uno spersonalizzante economicismo che riduce il fine della società alla logica del profitto e dell’homo consumens, e che denota la qualità di vita in termini di capacità produttiva, noi affermiamo la validità di una prospettiva onto-assiologica dell’essere umano che lega inestricabilmente il valore della persona al suo stesso essere. Da ciò consegue che la persona, per quanto inerte e ridotta alle sue funzioni vegetative, è molto più di ciò che manifesta attraverso i minimi atti che compie. Il suo valore è saldamente radicato in una intangibile realtà ontologica accessibile mediante il linguaggio dell’amore e della cura, che sfugge alla logica del riduttivismo fenomenista e materialista.

3. Inguaribilità e incurabilità non sono sinonimi. Una malattia può essere considerata dalla medicina allo stato attuale come inguaribile, ciò non significa che alla persona malata sia da negare una “cura” (nel senso latino del prendersi cura, come forma di accudimento e accompagnamento). Da questo punto di vista, la “cura” è un diritto per ogni essere umano, anche nel caso di malattie inguaribili. Porre fine drasticamente a una vita inguaribile negandole una cura, senza il consenso dell’interessato o dei parenti, sarebbe un abuso della medicina o dello Stato (o di entrambi). Nel caso emblematico della bimba inglese affetta da una rara patologia che le rendeva impossibile sopravvivere senza supporti tecnici e condannava il suo organismo a un progressivo deterioramento, destinato a concludersi in tempi brevi con la morte, la persona era comunque viva, anche se in una particolare e quasi indecifrabile condizione. Tale stato rinvia al senso del “mistero” che non è interpretabile solo sul piano bio-fisico, e interpella, inquieta, costringe a confrontarsi con il limite e l’oltre dell’esistenza. Storicamente il concetto di persona affonda le radici nel cuore della teologia cristiana. Senza la riconduzione a questa sua matrice spirituale e trascendente, ciò che noi oggi chiamiamo “persona” sarebbe rimasto qualcosa di non definibile e il fatto che le persone non sono fenomeni semplicemente naturali non sarebbe stato riconosciuto.

Fortunatamente oggi la centralità della Persona, la sua dignità e intangibilità viene accolta anche dal pensiero laico, che per coerenza rifiuta ogni pratica medica che non rispetti né la vita né la libertà della persona ed esponga quest’ultima a divenire oggetto manipolabile da altri. Nessuno Stato può strappare con la forza un bimbo malato dalle mani amorevoli dei genitori, tantomeno nel nome di un presunto best interest che prescinde dalla ab-solutezza di valore intrinseco della persona. Una persona ridotta all’esercizio delle sole funzioni vegetative è pur sempre persona. Non possiamo perciò condividere concezioni antropologiche secondo cui se un essere umano manca della coscienza di sé – da intendere non solo come una potenzialità presente in ogni essere umano fin dalla formazione delle sue cellule cerebrali ma come esercizio effettivo di questa consapevolezza – non avrebbe diritto alla vita. Distinguere fra “essere umano” e “persona” rischia di giustificare pratiche ben poco umane, come la prassi ospedaliera di lasciar morire i bambini gravemente disabili.

Consapevoli della vastità di tali questioni, che toccano punti nevralgici di comprensione dell’umano e il senso profondo dell’essere-nel mondo, affermiamo la nostra volontà di perseguire un approccio inter e trans-disciplinare che contrasti l’adozione di criteri riduttivistici, improntati a semplificazioni ed esposti a illegittime strumentalizzazioni. Contro ogni cultura dello scarto, auspichiamo il diffondersi di tutte quelle pratiche che vengono in soccorso prima e oltre la “scorciatoia” eutanasica, vale a dire: le cure palliative, l’accompagnamento della singola persona assistita e dei familiari/caregivers, la sedazione palliativa profonda, l’instaurarsi di un’alleanza terapeutica medico-paziente anche attraverso la mediazione di specifici comitati etici. Si tratta di ottime pratiche messe a punto nei decenni in nome di una cultura della vita, l’unica strada capace di combattere il dolore in tutte le sue forme.

Claudio Ciancio, Vittorio Possenti, Giorgio Rivolta, Luca Robino, Flavia Silli, Lucia Stefanutti, Tommaso Valentini: Persona al Centro. Associazione per la Filosofia della Persona. Angela Ales Bello: Centro italiano di ricerche fenomenologiche; Associazione Italiana Edith Stein. Gregorio Piaia, Renato Pagotto, Enrico Giora, Mario Cutuli, Stefano Didonè, Adriana Barbon, Paolo Donà, Leopoldo Sandonà: Fondazione Luigi Stefanini

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