giovedì 28 maggio 2020
Una maternità imprevista, forse indesiderata. La ricerca di qualcuno cui chiedere consiglio: tenere o no il bambino? Durante la quarantena il servizio delle associazioni per la vita.
Gravidanze in chat, volontarie in ascolto delle donne
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Il sostegno alle future mamme non si è mai fermato. Neppure con il lockdown. Anche se, a causa del coronavirus, le attività “dal vivo” hanno inevitabilmente dovuto subire un rallentamento, le associazioni di aiuto alla vita non hanno mai sospeso la loro opera, adeguando e riorganizzando gli strumenti alle necessità del momento.

La Comunità Papa Giovanni XXIII, ad esempio, ha rafforzato la propria presenza virtuale, arrivando a risultati molto significativi. «Sono 30 i bimbi salvati dall’aborto nei primi quattro mesi del 2020. Ogni giorno – spiega il presidente Giovanni Ramonda – riceviamo cinque nuovi contatti da parte di mamme e papà che chiedono informazioni». Proprio a causa del blocco quasi totale di ogni attività, le donne negli ultimi mesi hanno trovato molte difficoltà a rivolgersi al consultorio e all’ospedale. Grazie a un importante lavoro di indicizzazione Seo (Search Engine Optimization) per posizionare al meglio il sito nei motori di ricerca sul Web, chi ha esplorato la rete in cerca di suggerimenti e notizie sull’interruzione di gravidanza si è trovato spesso a entrare in contatto con la Giovanni XXIII. La pagina, dal titolo volutamente interlocutorio («Aborto e gravidanza indesiderata: come fare?») affronta il tema con schiettezza, proponendo «strade alternative per superare le difficoltà nel rispetto della dignità della donna e del bambino». E così, tramite il sito Web, WhatsApp e il numero verde, i contatti sono aumentati moltissimo. «Spesso ci vengono raccontate grandi solitudini – spiega Marinella Larcher, animatrice dell’ambito “maternità e vita” della Comunità – in cui matura la richiesta di aborto. In questi mesi con il distanziamento fisico molte donne si sono trovate ancora più sole, senza neppure un’amica da incontrare». Complice la paura di andare in ospedale, la pandemia ha spinto verso l’aborto “in solitaria”, con la pillola Ru486. Dalle telefonate con i volontari emergono situazioni difficili, di grave disagio e conflittualità, che a volte sfociano in violenza. «In una tale angoscia spesso le donne perdono il contatto con sé stesse e il bambino. Noi cerchiamo di stare loro vicino, ascoltandole e aiutandole, per recuperare in qualche modo quel rapporto».

Un’esperienza, quella dell’affiancamento alle mamme in difficoltà, condivisa anche dagli operatori del Movimento per la Vita. Negli ultimi mesi le sedi dei 350 Centri di aiuto alla vita distribuite in tutta Italia sono rimaste chiuse ma l’attività è comunque proseguita, spesso intensificandosi. I turni dei volontari di Sos Vita (il servizio che in oltre 30 anni ha aiutato a distanza più di 160milla donne) sono stati addirittura raddoppiati per garantire assistenza continua alle future mamme. Ad aumentare sono state proprio le cosiddette “richieste a rischio aborto”, che di solito arrivavano di persona e non attraverso la chat. Ma il coronavirus ha cambiato le cose e moltissime donne in gravidanza hanno preferito trovare sostegno attraverso la rete. «La chiusura dei Centri – racconta Lara Morandi, coordinatrice di Sos Vita – è stata del tutto improvvisa e per noi non è stato facile all’inizio capire come proseguire al meglio il nostro lavoro. Sos Vita è la realtà che ha permesso comunque di sopperire: in un momento di distanza obbligatoria tra le persone il servizio ha trovato la sua piena dimensione». Se le richieste telefoniche di aiuto sono rimaste costanti, da gennaio all’inizio di aprile sono state oltre 200 le donne che hanno preferito usare la chat per rivolgersi agli operatori. Nel corso dell’intero 2019 erano state soltanto 133. La chat è lo strumento preferito dalle giovani, soprattutto italiane: garantisce maggiore riservatezza, in modo particolare in questi mesi di coabitazione forzata. «Spesso – conclude Morandi – ci sono state segnalate gravi difficoltà finanziarie. Alle famiglie già in condizioni di fragilità si sono aggiunte le nuove povertà di chi, fino a qualche mese fa, aveva un reddito stabile e magari anche il progetto di avere un figlio. Il coronavirus ha cancellato il lavoro, il sorriso e spesso anche la speranza. In un momento in cui tutti parlavano di morte, la paura e l’incertezza hanno inciso pesantemente sulle persone, anche quando non c’era un reale problema economico».

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