Un finale largamente annunciato, ma non per questo meno drammatico. La vicenda delle 15 cliniche per malati psichici gestite in Belgio da un’associazione legata alla Congregazione dei Fratelli della Carità e che più volte si erano sottratte al pressante invito della Santa Sede e dello stesso Papa di escludere ogni pratica eutanasica sui loro pazienti si è conclusa con la loro esclusione dal novero delle strutture cattoliche. L’ha sancito la Congregazione per la Dottrina della Fede con una lettera firmata il 30 marzo dal prefetto cardinale Luis Ladaria e dal segretario l’arcivescovo Giacomo Morandi, della quale si è avuta notizia solo il 7 maggio.
Rivolgendosi a fratel René Stockman, superiore generale dell’istituto religioso fondato agli inizi dell’Ottocento a Gand e impegnato nell’assistenza ai disabili psichici, i vertici della Dottrina della Fede ricordano che l’eutanasia, non esclusa dalle prestazioni fornite dai centri clinici amministrati dall’Associazione Provincialat des Frères de la Charité, «resta un atto inammissibile, anche in casi estremi». E sebbene nel consiglio d’amministrazione dell’organismo di gestione sieda una maggioranza di laici con soli tre rappresentanti dell’istituto religioso, le cliniche restano strutture ospedaliere cattoliche che come tali non possono ammettere la possibilità di dare la morte a un paziente, pur a norma di legge. Una vicenda esemplare sulla quale la Santa Sede ha speso ogni possibile risorsa diplomatica a partire dal marzo 2017 quando, come ricorda la lettera della Congregazione, «sul sito del ramo belga è stato pubblicato un documento che ammette – a certe condizioni – la prassi dell’eutanasia».
La ricostruzione del documento vaticano fa capire come da allora si sia tentato in ogni modo di non spezzare il filo del dialogo, contando sul pieno appoggio di fratel Stockman, «che aveva già disapprovato» la posizione dei confratelli belgi, al tentativo vaticano di ricondurre l’associazione al rispetto pratico del magistero della Chiesa e della visione cristiana dell’uomo. Nella lettera si enumerano ben sette incontri dal 31 agosto 2017 al 20 luglio 2019 tra Congregazioni per la Dottrina della Fede e degli Istituti di vita consacrata, Segreteria di Stato, rappresentanti dell’episcopato belga, dei Frères e dell’Associazione «intesi a offrire occasioni e spazi di dialogo», ai quali vanno aggiunti un’udienza del Papa al prefetto della Dottrina della Fede nel maggio 2017 in cui fu informato «circa la gravità del caso», la lettera dello stesso dicastero a Stockman un mese dopo e, nel marzo 2018, un documento sui «Princìpi da rispettare nell’accompagnamento dei pazienti negli ospedali psichiatrici», oltre alla missione di un visitatore apostolico inviato da Roma. Tutti tentativi per ottenere dai rappresentanti dei Frères e dell’Associazione belgi «di affermare per iscritto e in modo inequivocabile la loro adesione ai princìpi della sacralità della vita umana e dell’inaccettabilità dell’eutanasia e, come conseguenza, il rifiuto assoluto di eseguirla nelle istituzioni da essi dipendenti». Uno sforzo paziente ma vano: «Purtroppo – annota amaramente la lettera – le risposte pervenute non hanno dato assicurazioni su questi punti».
La posizione sulla quale si è attestato il «gruppo dei Fratelli della Carità in Belgio» è dissonante su quattro aspetti decisivi: essa infatti «rifiuta l’assolutezza del rispetto per la vita, ovvero mette in dubbio che la vita di un essere umano innocente debba essere rispettata “sempre”, lasciando aperta la possibilità di eccezioni; per ciò che riguarda l’importanza della cura e dell’accompagnamento dei pazienti psichiatrici, si riferisce alla legge belga sull’eutanasia, aprendone in modo chiaro la possibilità per i pazienti psichiatrici non terminali; lascia al medico la responsabilità e il diritto di accettare la richiesta di eutanasia o di rifiutarla (“atto medico”), escludendo così la scelta dell’Ospedale; mantiene la possibilità dell’eutanasia all’interno dell’istituto con la giustificazione di evitare ai familiari la fatica di dover trovare un’altra soluzione».
Distanza incolmabile constatata durante un «lungo e sofferto cammino», al termine del quale «pur con profonda tristezza si comunica che gli Ospedali psichiatrici gestiti dall’Associazione Provincialat des Frères de la Charité in Bellgio non potranno più, d’ora innanzi, ritenersi enti cattolici». Un epilogo figlio di una situazione emblematica per comprendere cosa possa accadere nei rapporti tra Stato e istituzioni sanitarie cattoliche in presenza di una legge che contempla la possibilità di dare la morte a una persona su sua richiesta.