Ha riaperto una ferita mai chiusa, dall’entrata in vigore della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, la storia di Valentina, la ragazza che ha sostenuto – clamorosamente smentita dall’Asl di Roma – d’aver abortito sola, nel bagno di un ospedale romano. «Colpa dei medici obiettori», s’è detto e scritto un po’ ovunque. Perché gli obiettori l’avrebbero “abbandonata” all’inferno che è un aborto al quinto mese, una procedura che la natura fa assomigliare più a un travaglio che a un’interruzione di gravidanza. E perché l’obiezione – scelta dal 69,3% dei medici italiani – sarebbe il vero, grande male della sanità italiana, “cieca” e “sorda” ai diritti delle donne.
Un aborto a settimanaViene da chiedersi cosa succede ogni giorno nei reparti di ginecologia e ostetricia dei nostri ospedali e che calvario debbano mai affrontare le donne che decidono di non avere un figlio. Il viaggio comincia in Lombardia. Numero di aborti nel 2011: 18.264. Numero di ginecologi non obiettori: 323. La matematica dice che mediamente, a settimana, a uno di questi medici toccano 1,3 aborti. All’incirca è la media nazionale, così come l’ha fotografata nell’ultima relazione sulla legge 194 il ministero della Salute (che infatti mai ha lanciato un “allarme obiezione”). E certo non è un carico inaudito di lavoro: «Abbiamo 7 interruzioni di gravidanza al giorno. Non dovremmo sforare quel limite, ma a volte capita». Andrea Natale è ginecologo (obiettore) all’ospedale Macedonio Melloni di Milano. La struttura è ben organizzata: i medici obiettori si occupano degli aborti spontanei, i non obiettori di quelli volontari. Il lavoro si divide all’incirca a metà. Poi, in reparto, non ci sono distinzioni: «L’obiezione è sull’aborto in sé, non sull’assistenza alla donna che ha abortito». E l’aborto è sì ciò che avviene in sala operatoria (un raschiamento, nel caso di un aborto nel primo trimestre, che dura qualche minuto), ma anche accettazione, visite preliminari, assistenza post-operatoria, dimissioni: «Di questo ci occupiamo tutti». In un ospedale è ovvio ciò che sui giornali spesso non è: obiettori e non obiettori non sono in guerra, ciò che conta è la salute delle pazienti, non le battaglie ideologiche sui diritti. «Io ho appena finito di visitare una ragazzina che ha abortito stamattina. Aveva bisogno di un antidolorifico, gliel’ho prescritto, l’ho tranquillizzata».
Organizzazione e buon sensoLa verità è che le regole della sanità milanese non sono un’eccezione. E l’organizzazione – non la percentuale di medici non obiettori – è quello che permette agli ospedali di rispondere alle richieste delle pazienti. Al Sant’Orsola di Bologna gli aborti si effettuano dal lunedì al venerdì, in un numero massimo di 6 al giorno. Medici non obiettori: sempre presenti, in ogni turno (l’Emilia Romagna, d’altronde, conta su quasi il 50% di medici non obiettori). Assistenza garantita «come non ci dovrebbe essere nemmeno il bisogno di precisare», spiega il ginecologo Patrizio Calderoni. Anche lui obiettore. E oberato di lavoro, visto che negli ospedali ci sono sì gli aborti, «ma soprattutto i parti, le complicazioni in gestazione e post partum, i monitoraggi e poi le decine e decine di interventi di routine sulle donne non in gravidanza». Anche se qualcuno lo dimentica.Al Sud la situazione è più complicata. Il numero degli obiettori è più alto, l’organizzazione della sanità spesso meno efficiente. «Ma grazie al cielo tra gli ospedali si può scegliere – spiega Giuseppe Chiacchio, ginecologo al Policlinico Federico II di Napoli –. E anche se i tempi per una interruzione di gravidanza normale (cioè nel primo trimestre) sono stretti, c’è tutto il tempo per informarsi e trovare una struttura adeguata dove recarsi per pianificarla». Non si decide dalla sera alla mattina, un aborto. Anche di questo ci si dimentica. Chiacchio è obiettore, ma di come viene gestito il servizio delle interruzioni di gravidanza nel suo ospedale va fiero: «Abbiamo un reparto a sé stante, con ingresso e personale dedicato». Problemi di turni? «Mai avuti, loro lavorano in autonomia e sono davvero ben organizzati». Donne abbandonate a se stesse? «Inconcepibile, ovunque». Così al Civico di Palermo, dove di medici non obiettori ce ne sono soltanto due (uno di ruolo, l’altro a termine): «È difficile – ammette il primario di ginecologia Luigi Alio – ma si lavora nel rispetto di tutti. Cerchiamo di sopperire usando la Ru486. Se dobbiamo garantire un servizio ci organizziamo per farlo, ecco tutto. Non si negano, gli aborti. Ma nemmeno l’obiezione. Ora abbiamo delle posizioni aperte: per quei posti ho ottenuto che si prendano dei medici non obiettori». Pragmaticamente, se servono medici non obiettori, si provvede ad assumerli. Come per altro prevede la legge 194. «E nessuno abbandona le pazienti. Quella è disumanità, non obiezione».
IL VERO DIRITTO NEGATOCosa manca, allora? In cosa la 194 è una legge negata e disattesa? Al Santa Chiara di Trento tutto funziona alla perfezione. I non obiettori ci sono, eccome. L’accesso all’interruzione di gravidanza è gestito dai consultori: lì c’è la prima presa in carico e l’apertura della cartella clinica. La procedura snellisce il servizio. «Ma manca consapevolezza – spiegano dalla struttura – la donna e la sua scelta andrebbero rimesse al centro perché il punto critico è la comprensione del dramma dell’aborto». Non averlo più o meno facilmente a disposizione. E qui diritto e matematica passano in secondo piano. La domanda del servizio lascia spazio all’altra, molto meno “mediatica”: sono sicura di quello che sto facendo? «Da noi tutto funziona bene – spiega ancora il ginecologo del Federico II di Napoli – eppure quelle donne non incontrano una figura intermedia. La porta si apre ed ecco la struttura più attrezzata possibile per il loro aborto. Senza che magari nessuno abbia parlato con loro». Un punto previsto dalla legge e, questo sì, troppo spesso evaso. Donne abbandonate molto prima che nel bagno di un ospedale: perché nessuno ne parla?