sabato 1 luglio 2023
Animali domestici con nomi umani, in una stagione di denatalità, sono il segno di una "sostituzione" affettiva? La riflessione della ministra per la Famiglia fortemente criticata. Eludendo la domanda
La ministra Roccella con il suo cane

La ministra Roccella con il suo cane - Dal profilo Facebook della ministra

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È esperienza comune vedere nelle nostre città aprire sempre nuovi negozi per animali, segno di un fenomeno nuovo di accoglienza crescente di cani, gatti, pesci, tartarughe, uccelli e altri esseri viventi in famiglie che si aprono alla conoscenza di un mondo per molti sinora sconosciuto. Tanto di guadagnato, per tutti, dunque, in un’epoca nella quale la crisi ambientale e climatica fa prendere coscienza che non siamo padroni ma affidatari del Creato. Ma è impossibile non notare, allo stesso tempo, che i negozi di articoli per la prima infanzia sembrano pressoché scomparsi, talora sostituiti proprio da punti vendita per animali. La conseguenza, osservabile da chiunque, è che ai giardini si trovano più cani che bambini.

A notarlo è stata anche la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella che intervenendo a Roma il 29 giugno a un meeting dei giovani di Fratelli d’Italia, osservando che «c'è bisogno di una rivolta a difesa dell'umano» in un discorso in cui ha parlato di maternità surrogata e omogenitorialità, ha aggiunto che «io sono animalista, amo moltissimo cani e gatti, non è ostilità contro gli animali, ho un cane e quattro gatti, però ad esempio ai giardinetti sento alcuni padroni che chiamano i loro cani con nomi di persone. Questo tentativo di appaiare i nomi umani a quelli dei cani è sintomo di qualcosa, di un desiderio, un bisogno di affettività e di famiglia che c'è ma viene trasferito in maniera impropria sugli animali».

Non l’avesse mai detto. Contro di lei è partita una nuova tempesta di polemiche che ricorda quelle attorno al suo (mancato) intervento al Salone del Libro di Torino, poco più di un mese fa. Sulla newsletter di Repubblica «Hanno tutti ragione» sotto il titolo «Dalla sostituzione etnica a quella canina: Roccella e la destra che ama frugare nelle vite degli altri» Stefano Cappellini commenta che «ai sovranisti piace lo Stato etico ficcanaso, tranne che sul fisco», in linea con Maria Corbi che sulla Stampa («Roccella, famiglie e crociate canine»), citate per esteso le dichiarazioni della ministra, ironizza sostenendo che per la responsabile del dicastero per la Famiglia «i cani e i gatti devono chiamarsi al massimo Dudù, per citare il cagnolino di Arcore». A Roccella viene contestato che non capirebbe il legame secolare tra uomini e animali e che la sua battuta sui cani ai giardini “tradirebbe” un recondito intento: «Volendola tradurre, la frase sarebbe: meno cani, più figli». Perentorio Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra italiana (e alleato dei Verdi): «Ma cosa si sono messi in testa questi della destra? Vogliono pure dirci come chiamare i nostri amici a quattro zampe? Qualcuno dica alla ministra Roccella che ho un gatto che si chiama Ernesto ma che non ho smarrito il valore dell'umano. Tanto che, a differenza della Roccella, penso che i bambini in mare vadano soccorsi, quelli senza casa debbano avere un tetto e quelli senza una famiglia facoltosa debbano essere istruiti». E per essere più chiaro su Twitter diffonde un’immagine con un titolo eloquente: «Al governo sono fuori come balconi». Davide Faraone (Italia Viva), via Twitter, non è da meno: «Soltanto in Italia può accadere che nei giorni in cui un Governo fallisce l’impegno di utilizzare 4,6 mld concessi dall’Ue per fare gli asili, uno strumento indispensabile per contrastare la denatalità e favorire le politiche familiari, il Ministro della Famiglia Roccella non si nasconda per la vergogna ma discetti sulla carenza dell’affettività per i figli, trasferita sui cani». I media non aiutano a capire di cosa stiamo parlando: un sito frequentatissimo come Fanpage titola «La ministra della Famiglia attacca chi chiama i propri animali con nomi “umani”, che invece dovrebbe dare ai bambini». Brando Benifei, capodelegazione del Pd a Strasburgo, rincara: «La destra continua a parlare di tutto tranne che di come intende affrontare i problemi concreti delle persone. Esempio ne è la Ministra Roccella e le sue assurde invettive, contro le famiglie arcobaleno, i diritti delle donne e ora pure contro i nomi di cani e gatti». Intanto in rete è tutto un fiorire di foto di gatti e cani con padroni che esibiscono fieri i nomi umani dei loro amici quadrupedi.

Eugenia Roccella alla festa dei giovani di Fratelli d'Italia

Eugenia Roccella alla festa dei giovani di Fratelli d'Italia - Ansa

Ma è davvero di questo che intendeva discutere la ministra? O la polemica politica ha preso il sopravvento, come troppo spesso accade, impedendo di cogliere l’occasione per discutere su una questione che comunque c’è, come la “sostituzione” degli animani al posto dei bambini nelle case degli italiani, quale ne sia il motivo?
Vista la situazione, la ministra ha deciso di intervenire per chiarire la sua posizione: «Girando per il web – ha scritto in un post sulla sua pagina Facebook – il mio nuovo obiettivo sembrerebbe essere la rivolta contro i nomi umani ai cani e ai gatti. Che fare? Riderci su? Prendiamola come un’occasione per dire cosa penso davvero. Amo i cani e i gatti, ne ho sempre avuti e tuttora a casa mia vivono un cagnolino zoppo salvato dalla strada, che si chiama Spock, e tre gatti dai nomi simil-umani: Donald (perché è rosso col ciuffo come Trump) Oliver, Colette. Quando però l’altro giorno al parco mi sono girata di scatto al grido “Eugenio!”, ed era un cane, seguito dall’invocazione “Gianmaria!” per un altro cane, mi sono resa conto plasticamente di una cosa che percepisco da tempo. E cioè che c'è nelle persone un gran bisogno di compagnia, di affettività, di calore familiare. Un bisogno che in una società sempre più atomizzata, in un mondo di crescenti solitudini, spesso viene riversato in via esclusiva su questi animaletti, come ha osservato prima e ben più autorevolmente di me papa Francesco. Ciò che mi colpisce non è l'amore, che io per prima provo per loro. Non è il bisogno, che trovo profondamente umano. È proprio questa esclusività, mentre io vorrei una società in cui i cani e i gatti sono affetti di casa ma in case più vive e popolate di persone. Non sarebbe stato difficile capirlo, se solo non si fosse animati dalla volontà di equivocare tutto a tutti i costi». Amara la conclusione: «E ora via alla prossima strumentalizzazione, che già immagino».

Del tema degli animali che hanno preso il posto dei bambini negli affetti di molti si è occupato più volte anche il Papa, notando il paradosso che tutti osserviamo. L’intervento più recente nel discorso agli Stati generali della natalità, il 12 maggio, con due aneddoti ormai diventati celebri: «Due settimane fa – ha detto Francesco – il mio segretario era in piazza San Pietro e veniva una mamma con la carrozzina. Lui, un prete tenero, si è avvicinato per benedire il bambino... era un cagnolino! Quindici giorni fa, all’udienza del mercoledì, io andavo a salutare, e sono arrivato davanti a una signora, cinquantenne più o meno; saluto la signora e lei apre una borsa e dice: “Me lo benedice, il mio bambino”: un cagnolino! Lì non ho avuto pazienza e ho sgridato la signora: “Signora, tanti bambini hanno fame, e lei con il cagnolino!”. Fratelli e sorelle, queste sono scene del presente, ma se le cose vanno così, questa sarà l’abitudine del futuro, stiamo attenti».

Anche il Papa non fu immune da critiche, ma sarebbe stato sufficiente ascoltare un altro aneddoto nello stesso discorso per capire l’intento inequivoco di un Papa peraltro sensibile come nessuno a riconciliare l’umanità con il pianeta e tutte le forme di vita che lo abitano: «Alcuni anni fa – raccontava il Papa agli Stati generali della natalità – ricordo una coda davanti a una compagnia di trasporti, una coda di donne che cercavano lavoro. A una avevano detto che toccava a lei; presenta i datti: “Va bene, lei lavorerà undici ore al giorno, e lo stipendio sarà di 600 (euro). Va bene?”. E lei: “Ma come, ma con 600 euro... 11 ore... non si può vivere...”. “Signora, guardi la coda, e scelga. Le piace, lo prende; non le piace, fa la fame”. Questa è un po’ la realtà che si vive. È una cultura poco amica, se non nemica, della famiglia, centrata com’è sui bisogni del singolo, dove si reclamano continui diritti individuali e non si parla dei diritti della famiglia. In particolare, vi sono condizionamenti quasi insormontabili per le donne. Le più danneggiate sono proprio loro, giovani donne spesso costrette al bivio tra carriera e maternità, oppure schiacciate dal peso della cura per le proprie famiglie, soprattutto in presenza di anziani fragili e persone non autonome. In questo momento le donne sono schiave di questa regola del lavoro selettivo, che impedisce loro pure la maternità».

Il discorso sugli animali che sostituiscono i figli non si comprende se non dentro la negazione di un diritto naturale delle donne (e degli uomini): poter concepire e mettere al mondo i figli che si desiderano in una società che li “chiama per nome”, cioè li sa accogliere per ciò che sono, nuove vite, persone, cittadini del futuro, componenti della società, figli. La domanda che resta senza risposta, nel rumore delle polemiche, è dunque questa: se la denatalità svuota la società di affetti umani, stiamo forse cercando forme per compensarli anziché ingegnarci per rimuovere gli ostacoli alla possibilità di aprirsi alla vita? In questo deragliamento c’è o no una perdita di umanità? «La pietà – disse il Papa nel 2016 – non va confusa con la compassione che proviamo per gli animali che vivono con noi; accade, infatti, che a volte si provi questo sentimento verso gli animali, e si rimanga indifferenti davanti alle sofferenze dei fratelli. Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti, ai cani, e poi lasciano senza aiutare il vicino, la vicina che ha bisogno... Così non va».

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