Aldina con alcuni ex alunni - da R.M.
«Mi piacerebbe che una volta si desse il premio Nobel agli anziani che danno memoria all’umanità e testimoniano che ogni stagione dell’esistenza è un dono di Dio». Queste parole di papa Francesco sono risuonate nei giorni scorsi a Pesaro, che ha idealmente assegnato il Nobel della solidarietà ad Aldina Rombaldoni Berardi, deceduta nel 2019 a 104 anni.
Dall’11 settembre la sua abitazione è divenuta casa del Centro di aiuto alla Vita già attivo in città da oltre 30 anni. Alla cerimonia di inaugurazione, oltre alle autorità civili e religiose, erano presenti le nipoti da Padova e da Popoli, ben liete di vedere che la villetta della loro zia ospita già una coppia in attesa di un bambino. «L’abbiamo chiamata 'Casa Aldina' – spiega la presidentessa del Cav, Marsha Bruno – perché lei stessa ha voluto che fosse dedicata alle donne in gravidanza o alle madri che si trovano in stato di necessità».
Ma chi era Aldina? Per intere generazioni di pesaresi era semplicemente 'la maestra', avendo insegnato per 45 anni. E all’apertura del suo testamento tutta la città ha ricevuto la sua ultima lezione di vita: «La fede è un gran dono che mi ha sempre accompagnato – ha lasciato scritto Aldina –, ora voglio lasciare questo mondo povera e prepararmi a entrare nella nuova vita». Così, dopo aver pensato ai suoi familiari, tutti i suoi risparmi (700mila euro e la casa) sono andati in beneficenza, secondo precise indicazioni scritte a mano, ma con l’inchiostro del cuore. «Ha deciso di devolvere i beni – spiega l’avvocato Giorgio Paolucci, esecutore testamentario – avendo piena conoscenza diretta dei beneficiari e degli obiettivi che si era prefissata».
Scorrendo la lunga lista di nomi ci si accorge del suo grande amore per i poveri e per la Chiesa: 100mila euro alla Caritas di Pesaro, 50mila euro alla Caritas di Urbania, 50mila euro alla sua parrocchia di San Giuseppe, 48mila euro all’Opera missionaria vocazioni di Roma per 'adottare' 14 seminaristi fino al sacerdozio, ciascuno dei quali con l’impegno di pregare come 'angeli custodi' per i suoi 14 pronipoti ancora minorenni. Anche i mobili e ricordi di famiglia li ha donati, ai terremotati. La maestra Aldina non ha mai vissuto nella ricchezza: i suoi beni sono frutto di una lunga vita di lavoro, di sacrifici e di alcuni beni ricevuti alla morte del marito Giuseppe. Aveva conosciuto la povertà sin dalla nascita, a Urbania nel 1915.
Erano gli anni della prima guerra mondiale e lei, ultima di otto figli, riuscì a diplomarsi grazie all’amore per lo studio. «La mia prima alunna fu la mia mamma analfabeta – ricordava sempre con affetto –, che con grandi sacrifici ha sostenuto il mio sogno di diventare maestra». Già in vita Aldina si è sempre impegnata in prima persona per aiutare i più bisognosi e i bambini. «Anche se dal matrimonio non ho avuto figli – diceva – mi sono sempre sentita come la seconda mamma di tutti». E da oggi la porta di 'Casa Aldina' resterà per sempre aperta alla vita.