Meglio da una parte, peggio dall'altra. Lo stato di salute della zootecnia bovina nostrana, che emerge dal doppio rapporto dell'Associazione Italiana Allevatori, spinge ad un mezzo sorriso. È una situazione probabilmente poco consolante, soprattutto di fronte alla necessità di prestazioni di mercato più forti, ma tutto sommato meglio che una serie di dati tutti negativi. Anzi, volendo guardare gli aspetti migliori che pur esistono, è possibile ricordare che l'allevamento bovino da carne e da latte produce la bella cifra di 37 miliardi e mezzo di euro di giro d'affari, di cui il 63% circa dal comparto lattiero. Numeri importanti, quindi, che nascondono però a mala pena una situazione critica. Ecco alcuni particolari. I produttori di latte giudicano gli ultimi mesi come fra i peggiori vissuti. Gli allevamenti, lungo la catena del valore della filiera, hanno ulteriormente perso terreno. E non solo, perché proprio in questo stesso periodo, per la prima volta nella storia della zootecnia italiana moderna, il numero di stalle da latte è sceso sotto le 50mila unità. Certo, occorreva razionalizzare, ma c'è una bella differenza fra i centomila allevamenti di circa di dieci anni fa. Soprattutto poi, la produzione italiana, per ammissione degli allevatori, non è riuscita sfruttare adeguatamente le opportunità di mercato.
Situazione migliore, per certi versi, nel comparto della carne bovina. Tanto che, per molti produttori di latte, la vendita dei capi a fine carriera produttiva ha rappresentato una vera e propria integrazione di reddito. Ma il patrimonio di animali allevati è diminuito, mentre i rapporti con l'estero non si sono certo semplificati. Anzi, mentre le importazioni sono salite a 465mila tonnellate (+6% circa), le vendite all'estero sono scivolate a 150mila tonnellate.
Trasversalmente alle situazione di comparto, poi, si consolidano tendenze che ormai gli osservatori sembra diano per scontate. Cresce ancora (seppur di poco) il margine della distribuzione rispetto alla produzione primaria e alla trasformazione industriale. Per il latte, di fronte a circa 4 miliardi e 730 milioni di valore della materia prima, la distribuzione riesce a totalizzare qualcosa come 23 miliardi. Per la carne, il valore alla produzione arriva a circa tre miliardi e 900 milioni, mentre quello della distribuzione raggiunge i 14 miliardi.
A questo punto che fare? Perché è ovvia la constatazione che un avvicinamento dei margini agricoli a quelli commerciali, deve essere preso davvero come un miraggio. Meno difficile, invece, è pensare che produttori e trasformatori riescano a trovare strade comuni di lavoro, per recuperare quote di mercato, vendere direttamente i prodotti, erodere margini alla distribuzione. In alcuni casi, non pochi, operazioni di queste genere sono già state compiute e con successo. Basta provarci sul serio, abbandonando vecchie gelosie di settore e diffidenze che tolgono spazio ad una visione corretta dell'evoluzione del mercato.
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