domenica 8 giugno 2003
Ricordo che una volta entrai da solo nella camera di mio fratello ammalato, mentre non c'era nessuno. Era una sera limpida: il sole tramontava e illuminava con un raggio obliquo tutta la stanza. Vedendomi, mi fece un cenno; mi accostai ed egli mi prese per le spalle con le mani. Per un minuto mi fissò, poi mi disse: «Su, adesso va' a giocare! Vivi per me!». Io, allora, uscii e andai a giocare. Mille volte, poi, nella vita mi ricordai tra le lacrime come egli mi avesse ordinato di vivere per lui. In questa giornata sulla quale soffia il vento dello spirito di Dio, sorgente di amore e di vita, ho voluto ritagliare un piccolo paragrafo da quel monumento letterario che è il romanzo I fratelli Karamazov (1879-80) del grande F. Dostoevskij. Il vecchio starec (maestro spirituale) Zosima, uno dei personaggi dell'opera, rievoca l'esperienza vissuta a otto anni quando un suo fratello, Markel, colpito da un male incurabile, l'aveva invitato a non soffrire per la sua fine imminente, ma a continuare a vivere tenendo così accesa la fiaccola della sua stessa esistenza ormai votata a spegnersi prima del tempo.
«Vivi per me!»: è una frase efficace e vigorosa che dovremo far echeggiare dentro di noi quando vediamo chiudersi la vita di persone care o di testimoni coraggiosi. C'è un'eredità da raccogliere e da far continuare. Non è cristiano cadere nella prostrazione, nella memoria nostalgica e inerte quando perdiamo parenti o amici o persone che ci hanno guidato e sostenuto. In quel momento tocca a noi riprendere il filo dello Spirito che ha operato in loro e continuare a farlo respirare nella storia e nel mondo. È ciò che anche il Cristo risorto propone ai suoi discepoli: «Abbiate forza dallo Spirito Santo e siate miei testimoni» (Atti 1, 8).
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