Due amici discutono animatamente: «Secondo
te, esiste una vita dopo la morte?». L'altro si concede una lunga pausa di riflessione e poi replica: «E secondo te, esiste una vita prima della morte?».
Avevo già sentito questo apologo narrato da Woody Allen, il famoso regista e attore americano che spesso nelle battute dei suoi film o dei suoi libri (ad esempio, Citarsi addosso) lascia cadere una stilla dell'ironia ebraica delle sue radici. Ritrovo il dialogo appena citato nel volume Ad ogni giorno la sua pena di Alessandro Pronzato (ed. Gribaudi). L'autore, noto sacerdote scrittore, commenta: «Bisogna riconoscere, purtroppo, che parecchi individui, oltre a non credere a una vita dopo la morte, non riescono neppure a vivere prima della morte».
È, questa, un'esperienza ben più comune di quanto sembri. Molte persone bruciano la loro vita terrena come se fosse paglia, dissolvendola nel vuoto, nell'insensatezza, nell'inerzia, nella droga: più che vivere, esistono quasi come fossero solo un masso o un vegetale. Un po' tutti, però, consumiamo ampie porzioni della vita nell'incoscienza: la misura cronologica degli anni della nostra età non corrisponde alla realtà del vero vivere da persone consapevoli e coerenti. Il grande poeta Thomas S. Eliot non esitava a raffigurare questa vita inesistente così: «Nascita, e copula e morte,/ tutto qui, tutto qui, tutto qui,/ nascita, e copula e morte./ E se tiri le somme è tutto qui». A questo terribile bilancio cerchiamo di sottrarci, memori del monito di Cristo: «Che cosa potrà dare l'uomo in cambio della propria anima?» (Matteo 16, 26).
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