Dopo 30 anni, nei quali aveva dominato il mercato delle importazioni vinicole americane, l'Italia è stata superata dall'Australia. Intanto, nel Paese, ha ripreso vigore la polemica sui prezzi dei prodotti alimentari, tanto che, fra breve, a vigilare su di essi sarà la Guardia di Finanza. Si tratta di due notizie legate da più di un nesso, che vale la pena di analizzare meglio.
Secondo quanto reso noto dall'Italian Wine & Food Institute (che vigila sull'andamento del mercato vinicolo Usa), nei primi sei mesi del 2004, l'Australia ha esportato 886.630 ettolitri di vino, superando l'Italia che ha esportato 864.020 ettolitri, seguita dalla Francia e dal Cile. Le nostre etichette sono ancora al primo posto nelle esportazioni in valore, ma si tratta di un finto primato dovuto all'aumento dei costi ed alla rivalutazione dell'euro rispetto al dollaro. Non solo. Alla base delle difficoltà dei nostri vini è il costo medio per litro più alto di quello dei vini australiani che hanno quindi un rapporto qualità-prezzo più competitivo. E non basta, perché sempre secondo gli osservatori del mercato oltreoceano, negli ultimi anni è andata scemando anche l'azione promozionale sui nostri prodotti. Nel frattempo, le importazioni Usa di vini hanno fatto registrare un aumento del 2,8% in quantità e dello 0,6% in valore rispetto al corrispondente periodo del 2003, arrivando a 2.751.040 ettolitri e 1,29 miliardi di dollari. Insomma, mentre il mercato è cresciuto, noi - insieme ai nostri cugini francesi - abbiamo perso terreno esclusivamente in favore degli australiani. Alla base di tutto, c'è un dato di fatto: abbiamo perso e perdiamo competitività.
Competitività, efficienza e i cosiddetti «rapporti di filiera» sono all'origine anche della ripresa delle polemiche sui prezzi dei prodotti alimentari. Tanto da costringere Gianni Alemanno, responsabile delle Politiche Agricole, ad annunciare che fra breve a vigilare sulle etichette di mercati e supermercati sarà la Guardia di Finanza. Una decisione che ha riscosso un coro di approvazione da parte di Coldiretti, Cia e Confagricoltura, ma che, dall'altra, non ha risolto tutte le difficoltà. Ad iniziare dal mancato coinvolgimento degli agricoltori - denunciato dalla Cia - nei tavoli che dovranno decidere le strategie da attuare per calmierare i mercati. Trasparenza e correttezza dell'informazione ai consumatori è, invece, quanto continua a chiedere la Coldiretti che vorrebbe anche la trasposizione in Italia della politica francese che ha posto un vero e proprio tetto ai margini della distribuzione. Mentre Confagricoltura ha puntato il dito sulla necessità di indagare le fasi di formazione dei prezzi oltre che di agire per rafforzare l'offerta agricola e per avere più peso contrattuale. Proprio quel «peso» che l'Italia verde sembra quasi non avere più. Una circostanza che si ritrova sia riguardo alle grandi etichette vitivinicole negli Usa, sia per tutte le altre produzioni che hanno fatto grande il Made in Italy agroalimentare.
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