Vino, la concorrenza è globale
sabato 28 giugno 2003
Vi ricordate? L'Italia una volta era il Giardino d'Europa: vi prosperava tutto il ben di Dio in fatto di frutta e verdura. Eravamo famosi. Poi venne il tempo dei grandi vini, degli enologi pionieri. Poi quello del vino adulterato. Anche allora fummo famosi. Poi, dopo, ci fu l'epoca della riscossa: i vini si risollevarono, le nostre etichette diventarono eccelse, note in tutto il mondo. Il vino diventò «di moda» e un vero affare. Oggi siamo diventati ancora più famosi di ieri. Intanto, però, anche la concorrenza si è destata. E ci tallona ormai da vicino. Mentre i nostri vigneti perdono terreno. La sensazione netta di quanto sta accadendo si era già avuta a Verona, nel corso dell'ultimo Vinitaly, quando le etichette più premiate sono state quelle dei cosiddetti produttori emergenti. E la stessa sensazione è tornata a Bordeaux, nei giorni di Vinexpo. Qui, i contorni della questione si sono fatti più netti. Sulla ribalta del mercato mondiale del vino (che vale la bellezza di 101,5 miliardi di euro: tre volte il mercato discografico), si sono affacciati, ormai con onore, produttori come il Brasile, la Russia e la Gran Bretagna; ma anche altri territori come quelli della Corea, del Pakistan, del Giappone e della Cina. Ci si potrebbe chiedere: ma questi «esordienti» sapranno produrre degnamente vino buono? Sarà il mercato a dirlo. Anche se qualche indicazione c'è già, visto che in Corea la superficie vitata è triplicata in dieci anni arrivando alla fine del 2002 a 315mila ettari di nuovi vigneti. Qualcuno se lo berrà pure tutto questo vino. Senza dimenticare le ormai accertate capacità dei produttori californiani, australiani e sudamericani. Certo, preoccuparsi è bene, allarmarsi forse è troppo. Ma ciò che sta accadendo deve far pensare. In fin dei conti la storia dei vini australiani - ormai presenti in tutto il mondo - qualcosa deve pur insegnare. Perché ormai il successo sui mercati si costruisce non solo sulla qualità e sulla storia, ma anche sulla struttura dei costi, sulle capacità commerciali, sulla comunicazione e sul prezzo di vendita. E gli assediati? Per ora l'atteggiamento comune è di quelli che dicono: se la concorrenza si fa più forte, noi saremo più forti della concorrenza. Intanto però, l'Italia negli ultimi anni oltre che perdere ettari di vigneto ha perso nettamente ettolitri di vino (arrivando a 15,7 milioni
nell'ultima vendemmia), la Francia soffre delle vicende internazionali che strapazzano le sue esportazioni, mentre la Spagna, da sempre più competitiva sui prezzi, è preoccupata dell'aggressività del resto del mondo. Insomma, le grandi etichette nasceranno ancora per molto tempo dalle cantine italiane e francesi, ma quelle di Sidney oppure di Pechino, oppure chissà di Seul, potrebbero molto velocemente colmare le distanze. Sta a noi non farci acchiappare persi in un calice di rosso ma senza più spazi di mercato.
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