Famo a capisse, si dice a Roma. Bisogna intendersi sul concetto di accoglienza. Se uno è ubriaco, fa pipì in strada, molesta le donne, schiamazza, scatena risse, sparge rifiuti e bottiglie rotte, be': prima lo fermi e lo punisci, poi casomai lo integri con un corso di italiano o falegnameria. Soprattutto se non è uno, ma sono in tanti a comportarsi così.
Dopo una fase di relativa quiete la rinomata via Padova-Milano e limitrofe rischia di tornare terra di scorribande per pandillas e una multiforme microcriminalità latinoamericana: due stupri in 15 giorni, sbronze moleste H24, spaccio e atti osceni in pieno giorno, minacce per chi prova a lamentarsi, primi fra tutti gli "stranieri" perbene che temono un'intolleranza di ritorno, e le associazioni che più in questi anni hanno lavorato per l'integrazione.
Il dibattito che si apre a sinistra è sconcertante: no-repressione, «capire le dinamiche multietniche»; chi si lamenta è «criptofascista» o vuole «gentrificare» il quartiere a vantaggio delle immobiliari, come se il famoso «popolo» non meritasse dignità e decoro.
Alex Langer, che cito spesso qui, parlando di convivenza tra etnie invitava a «reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica» e a non trascurare i bisogni delle comunità ospitanti. Lo disse 25 anni fa. Ma lo si ascoltasse, accidenti! Lo si ascoltasse.
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