Abbiamo correttamente aspettato che si concludesse la prima settimana di Cinque minuti, il nuovo spazio di Bruno Vespa al termine del Tg1 delle 20, prima di qualche riflessione in merito, anche perché, se ci fossimo fermati all’esordio, lunedì scorso, avremmo dovuto parlare di un piccolo comizio da una grande tribuna (oltre 5 milioni di telespettatori) offerto alla premier Giorgia Meloni senza domande, favorendo semplicemente i temi. Niente di particolarmente diverso da quello che è successo il giorno dopo con il discusso ministro Piantedosi quando è arrivato qualche punto interrogativo, ma nessun contraddittorio. Al terzo tentativo, sempre sulla strage dei migranti sulle coste calabresi, Vespa ha incalzato un po’ di più l’ospite di turno. Peccato, però, che fosse il portavoce della Guardia costiera e non un ammiraglio del comando generale. La quarta sera ha portato in studio monsignor Georg Gänswein, il fedele segretario di Ratzinger, ma di fatto era un’anticipazione della ben più lunga intervista (non priva di
punzecchiature a papa Francesco) che avrebbe poi proposto a Porta a porta. In ultimo, un venerdì più leggero con Carlo Verdone a parlare di Alberto Sordi. La Rai aveva annunciato questa striscia quotidiana come «Cinque minuti per raccontare l’Italia e il mondo giorno per giorno». Quindi uno spazio di approfondimento su temi d’attualità con un ritmo veloce e incalzante. In realtà Cinque minuti sembra solo un Porta a porta in pillole, registrato tra l’altro in un angolo dello stesso studio. Il che vuol dire anche che non va in diretta come invece si converrebbe a un programma del genere. Sfugge anche, a parte il titolo, il riferimento alla canzone di Maurizio Arcieri che fa da sigla, ma che ha poco a vedere con la cronaca e l’attualità trattandosi di un addio amoroso.
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