Ventinovemila pugni oppure nessuno
mercoledì 13 aprile 2022
Era più grande il cuore o la tecnica di Muhammad Alì, The greatest, uno che ha cambiato i paradigmi della boxe? Talvolta Alì usava il "corpo a corpo" per dimostrare la sua superiorità, nel senso che si metteva alle corde di proposito e si trasformava in un sacco vivente. Si faceva colpire così forte da far sì che il suo avversario esaurisse le proprie energie. Lui incassava e ogni tanto gli chiedeva, mentre quello era intento a massacrarlo: «Ehi, tutto qui? Pensavo fossi un po' meglio…». Poi «danzando come una farfalla e pungendo come un'ape» giocava con la sua preda, fino al pugno decisivo, quello che spegne la luce. Muhammad Alì era un genio, un poeta, uno che sapeva raccontarsi come nessuno è stato più in grado di fare. Parlando dei suoi avversari diceva: «Mi dispiace per tutti quelli che hanno sbattuto le palpebre in quel momento, si sono persi il pugno con cui li ho messi giù» o in maniera ancora più personalizzata: «Ho colpito così forte Floyd Patterson che avrà avuto bisogno di un calzascarpe per rimettersi il cappello in testa!».
Lui, giovane atleta bellissimo, di quella bellezza immortale da eroe epico o dio greco, disse nel 1982, minato dal morbo di Parkison: «Ho calcolato che nella mia carriera ho preso 29.000 pugni». Due anni dopo, da ultimo tedoforo, accenderà il braciere ai Giochi Olimpici di Atlanta, scosso dai tremori della malattia in mondovisione, regalando a miliardi di persone l'ultima emozione, una pelle d'oca che torna ancora oggi, al solo pensiero.
Quella bellezza sfumata, modificata, trasfigurata rappresenta una parabola inversa rispetto alla storia di un collega di Muhammad Alì, campione olimpico anche lui, ma millenovecentoundici anni prima. Si chiamava Melankomas, e vinse i Giochi a Olimpia nel 49 d.C. utilizzando una strategia pugilistica decisamente diversa. Melankomas, il più bello fra tutti gli atleti mai esistiti, nato in Caria sulle sponde oggi turche del Mediterraneo, nobile nello spirito, vigoroso nell'atletismo, oltre a quello di Olimpia ottenne innumerevoli allori prima di morire imbattuto a Napoli, in occasione dei Sebastà, giochi atletici che si disputavano nella città partenopea. Non conobbe mai l'onta della sconfitta e non conobbe mai, neppure, il dolore di un pugno. Combatteva, infatti, senza colpire mai l'avversario e, soprattutto, senza mai esserne colpito. Questo fatto inaudito era possibile grazie alla sua capacità di tenere, anche per due giorni consecutivi, le braccia sollevate nell'azione della guardia e di saper allenare le sue gambe per generare un movimento costante che gli permetteva di schivare l'azione dell'avversario. Gli incontri, che allora non avevano limiti di tempo, terminavano in virtù della resa, per sfinimento, dell'avversario di turno.
La sfida virtuale fra Muhammad Alì e Melankomas finisce 29.000 pugni subiti a 0 e ci sono modi diversi di resistere. Si può resistere incassando e dimostrando al tuo avversario la tua forza fisica e morale, oppure si può resistere senza colpire e schivando i colpi altrui.
Sta di fatto che per vincere occorre identificare una strategia. E poi resistere, resistere e ancora resistere.
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