«Perché cerchi fuggevoli parvenze, inutilmente?/ Quella che vedi è ombra di immagine riflessa».L'adolescente Narciso (che ora, da quel tempo, è un fiore), bello, cercato dalle Ninfe, tra cui Eco innamorata pazzamente di lui, indifferente a tutto trascorre le giornate dedicandosi alla caccia. Un giorno, chinandosi per bere a una pozza limpidissima, vede per la prima volta, riflesso, il proprio viso. Si innamora di quel volto sconosciuto. Fino a languire e perdersi, fino a morire di inedia. Quello di Narciso è uno dei miti fondanti della cultura occidentale, un mito tragico e rivelante che Ovidio ci narra nelle Metamorfosi. Il problema di Narciso non è di considerarsi bello, come recita il luogo comune su un termine sempre frainteso, poiché Narciso non lo sa. Non si è mai visto. Il suo dramma è che non guarda gli altri. Quando, assetato (assetato di sete, non di autocompiacimento) si specchia nella pozza purissima e si vede per la prima volta, si innamora della propria immagine. Non è autocompiaciuto il suo specchiarsi, dettato dalla sete. E non è innaturale innamorarsi di un volto mai visto prima. Il guaio è che Narciso non ha mai guardato un altro volto. Non ha mai guardato fuori di sé. Se cerchi te stesso fuori dall'altro, ti perdi nel momento stesso in cui ti scopri. L'altro fa vivere Io.
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