Vaticanisti in Bangladesh e testimoni su Facebook
domenica 3 dicembre 2017
Se guardo con interesse, da diversi anni, ai meccanismi che sovrintendono all'informazione religiosa, è perché sono convinto che, nelle nostre società secolari, è sempre più probabile che la maggior parte delle persone apprenda la maggior parte di quello che sa di una religione dai media, e che sulla base di queste informazioni così assunte elabori una propria visione di quella data religione e perfino un proposito di adesione o, all'opposto, di allontanamento.
Rientra in questo interesse anche l'osservazione di quella particolare categoria di giornalisti specializzati nelle vicende ecclesiali che chiamiamo, per intenderci, vaticanisti: corrispondenti dalla Santa Sede e, da Paolo VI in poi, inviati al seguito dei viaggi papali. Di loro spesso ho rilevato la fatica – per non dire la frustrazione – a lasciarsi contenere nelle logiche e negli spazi dell'informazione mainstream, scaricata, per così dire, su un'abbondante produzione saggistica e, nel tempo della Rete, su una fioritura di blog e di facondi profili sui social network. Leggo in questa prospettiva, mentre li vedo all'opera per raccontare il viaggio di papa Francesco in Myanmar e Bangladesh, l'immagine che Paolo Rodari, vaticanista de “la Repubblica”, ha postato ieri all'alba (ora italiana) sul suo profilo Facebook, e le parole con le quali l'ha accompagnata ( tinyurl.com/y7avuy8g ).
Ritrae un ragazzino che, per strada, vende «le sue cose» e descrive il gioco di sguardi tra lui e i giornalisti e l'impossibile dialogo: «Ci ha fissati a lungo, fermi nel traffico di Dhaka all'interno del nostro pulmino. (…) Cosa ha visto in noi, non so dirlo. Forse qualcosa di disturbante nel suo presente. O forse una novità da rammentare, una possibilità oltre i giorni caotici e uguali di Dhaka. Io avrei voluto dirgli coraggio e tendergli la mano». Tra molti like e commenti, il post di Rodari ne incassa uno d'autore, quello di Alberto Maggi: «Questa foto è più di un editoriale». Sì, è una testimonianza.
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