Un vecchio proverbio, molto conosciuto, consiglia di diffidare da chi “predica bene e razzola male”. E questo non perché i principi, le “cose buone” non abbiano un loro significato e una loro valenza intrinseca, che prescinde e a volte supera chi li enuncia, ma perché come affermava nella Evangelii nuntiandi Paolo VI «l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni». Un richiamo preciso al dovere di ogni credente di essere un cristiano credibile, consapevole del fatto che «la vicenda degli Apostoli – diceva Papa Benedetto nella Pasqua 2010 – è anche la nostra e quella di ogni credente, di ogni discepolo che si fa “annunciatore”. Anche noi, infatti, siamo certi che il Signore, oggi come ieri, opera insieme ai suoi testimoni. È questo un fatto che possiamo riconoscere ogni qualvolta vediamo spuntare i germi di una pace vera e duratura, là dove l'impegno e l'esempio di cristiani e di uomini di buona volontà è animato da rispetto per la giustizia, da dialogo paziente, da convinta stima verso gli altri, da disinteresse, da sacrificio personale e comunitario».
È quanto Papa Francesco ha voluto ancora una volta ricordarci, all'inizio di questa settimana, ammonendo a non «annacquare» il Vangelo con l'immoralità, l'ipocrisia, la «doppia vita». Ricordando il passo della lettera ai Corinzi in cui San Paolo rimproverava quanti si vantavano di essere «cristiani aperti», in cui «la confessione di Gesù Cristo andava di pari passo con un'immoralità tollerata», il Pontefice ha sottolineato come i cristiani di Corinto non avessero capito la novità totalizzante del Vangelo. Che non è «un'ideologia» o «un modo di vivere bene, sociale» che convive con le abitudini pagane ma, appunto, una «novità» che è fondata «sulla risurrezione di Cristo». Dunque «noi cristiani siamo uomini e donne di novità», dove «la novità del Vangelo è assoluta, è totale; ci prende tutti, perché ci trasforma da dentro a fuori: lo spirito, il corpo e la vita quotidiana». Il problema è che molta gente finisce con l'inventarsi personalissime “novità” adatte a un cristianesimo “su misura”: «“Ma oggi, si può fare così; no, oggi si può vivere così... ”. E questa gente che vive delle novità che vengono proposte dal mondo è mondana, non accetta tutta la novità». Ma questa, ci dice Papa Bergoglio, è «gente tiepida, gente immorale», che «simula», gente «formale» e «ipocrita», che non ha compreso la differenza «fra “la novità” di Gesù Cristo e “le novità” che il mondo ci propone per vivere».
Certo, ha insistito Francesco «qualcuno può dire: “Padre, noi siamo deboli, siamo peccatori... ”. Ma “questa è un'altra cosa”. Se tu accetti di essere peccatore e debole, Lui ti perdona, perché parte della novità del Vangelo è confessare che Gesù Cristo è venuto per il perdono dei peccati. Ma se tu che dici di essere cristiano convivi con queste novità mondane, no, questa è ipocrisia. Quella è la differenza». Del resto «Gesù stesso nel Vangelo diceva: “State attenti quando vi diranno: il Cristo è lì, è là, è là... Le novità sono queste: no la salvezza è con questo, con questo... ”. Cristo è uno solo. E Cristo è chiaro nel suo messaggio». Per questo allora dobbiamo riconoscere che è chiara anche «la strada di coloro che prendono la novità di Gesù Cristo»: è la stessa di Gesù, «la strada verso il martirio». «Sia il martirio cruento, sia quello di tutti i giorni», dice il Papa. «Noi siamo in strada e siamo guardati dal grande accusatore che suscita gli accusatori di oggi per prenderci in contraddizione». L'importante è non negoziare con “le novità”, per «non annacquare l'annuncio del Vangelo». Ed essere, così, testimoni credibili.
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