Basta leggere anche solo poche pagine di un libro come Le Piccole Persone di Anna Maria Ortese (Adelphi, pagine 272, euro 14,00) per restare abbacinati dall'intensità morale e visionaria di questa scrittrice. Questo libro lei non lo ha mai scritto, ma per fortuna è stato costruito con pazienza e passione da Angela Borghesi, che ha cercato, ritrovato e raccolto in sezioni una serie di testi composti dal 1940 al 1997, cioè nell'arco di un'intera vita. È un libro dunque che si è formato senza nessuna precisa intenzione dell'autrice: un prodotto spontaneo, frutto di una lacerante ossessione morale, definibile “visionaria” solo perché la Ortese, mentre scrive, prima di scrivere, letteralmente vede l'intera natura cosmica come un tutto del quale gli esseri umani, l'intero genere umano con la sua cultura e le sue culture, non vogliono rendersi consapevoli. Un cosmo lacerato e mutilato dalla violenza e dall'inconsapevolezza: dalla violenza cieca, sistematica e senza rimorsi compiuta contro gli animali, le creature animate che la Ortese chiama «piccole persone» e la cui vita trattiamo come cosa insensibile, vita non-vita perché totalmente al nostro servizio e al servizio di tutti i nostri più brutali, volgari e stupidi desideri.Il testo che apre il volume indica con le prime righe proprio questa mostruosa incapacità umana di vedere sia l'unità e totalità della vita vivente, sia le nostre azioni: «Quando sono nata l'universo era ancora visibile […] Oggi si sa di più sull'universo, ma esso è nascosto dal proliferare delle opere e delle azioni umane». Sembra proprio che sia questo frenetico, indaffarato moltiplicarsi del nostro agire il metodo più efficace che abbiamo escogitato per difenderci dalla consapevolezza. Noi non vogliamo né vedere né riconoscere il massacro degli animali e della nostra stessa vita vivente. Forse, scrive la Ortese, è la Natura stessa che «non ha compassione». Eppure, «sento nella Natura non so che tristezza di fondo, come se a sua volta – mentre l'uomo si separa da lei – essa si separasse, soffocando, da Un Altro […] una comune Casa, un comune Padre, un comune Paese tanto felice e beato, dal quale partimmo insieme, per naufragare in questo».Tanta è la consapevole disperazione e speranza contenuta in queste pagine da suggerire un'idea estrema: niente potrà davvero migliorare nel nostro umano modo di vivere finché continueremo a uccidere e torturare gli animali.
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