Mancava poco a Natale. Il centro di Milano quella sera era un alveare affannato nella corsa ai regali. Mia figlia, allora quindicenne, festosamente mi ci aveva trascinato. Voleva un vestito rosso per la sera della Vigilia. Ma soprattutto voleva buttarsi nel turbinio scintillante di corso Vittorio Emanuele, al 20 dicembre.
La seguii, recalcitrante. Alla Rinascente non si riusciva a camminare. Esitai sulla soglia, ma Caterina mi prese per mano e mi portò dentro. Come una giostra: luci, Silent Night, Babbi Natale ovunque. Mia figlia si provò sei vestiti rossi. Poi, insoddisfatta, costrinse me a provare qualcosa, scelto da lei. Mi specchiai. «Sembro la befana», protestai debolmente. E: «Voglio uscire», implorai.
Sulle scale mobili lei davanti a me, i lunghi capelli sciolti sulle spalle. Mi accorsi di quanta allegria mi aveva dato mia figlia, portandomi con sé nella sua frenesia adolescente. E quanto mi ero divertita a provare, sbuffando, mentre lei mi guardava e rideva. La sua figura esile che camminava agile, e fulmineo un pensiero: «Cosa deve essere, perdere una figlia di 15 anni». Quando è un fiore.
Ho pensato a mia madre, che aveva perso mia sorella di quell'età. Allora nel metrò affollato, fino a casa, ho ripetuto fra me solo, semplicemente «grazie». Grazie di avermela data, grazie perché c'è.
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