È mattino. Fende l'aria l'accordo, solenne e lamentoso, dell'organo. La mia comunità intona il primo salmo delle lodi: «Lla mia voce sale a Dio e grido aiuto, la mia voce sale a Dio finché mi ascolti. Nel giorno dell'angoscia io cerco il Signore, tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca, io rifiuto ogni conforto». Nel cuore riecheggia il lamento delle popolazioni colpite dal terremoto e, cantando, sale alla memoria un'immagine poco nota di Sophie Anderson, artista britannica del XIX secolo.
>Sophie Anderson, Dopo il terremoto, 1884 olio
su tela 81,9 x 138,4 cm>
>Auckland Art Gallery Toi o Tāmaki, (dono
di Viscount Leverhulme, 1924) Nuova Zelanda>
Un'istantanea potente, più potente dei reportage televisivi, a noi peraltro poco familiari: una donna riversa sulle macerie della sua casa, colpita dal terremoto, è tutt'uno con la pietra. L'unico occhio visibile della donna resta puntato verso un pertugio tra le rocce, da dove s'indovina salire il gemito di un congiunto, sepolto tra le rovine. Si è totalmente coinvolti nel dramma della giovane, il cui corpo si staglia tra le macerie delle case e la calma placida del mare. Un contrasto dolente che induce a pensare. In Italia, dall'anno Mille a oggi, ci sono stati 4.800 terremoti in forma grave. Ciò significa che il sesto sigillo dell'Apocalisse, il terremoto appunto, ricorre nel nostro paese più di quattro volte l'anno. Una frequenza sbalorditiva che, invisibilmente, ma inesorabilmente, ci educa. Mentre perdiamo tempo ed energie dentro dibattiti assurdi, sulle dubbiose educazioni al gender, sugli omicidi legalizzati quali aborto eutanasia e contraccezioni. Mentre perdiamo terreno sulla conservazione delle nostre tradizioni e della nostra fede, ecco che la terra ci richiama alla realtà con una tragedia in casa. Con un paese che si fa a tratti inospitale, precario, non solo per gli emigrati ma per gli stessi italiani. E questo paradossalmente ci educa. Educa alla verità nuda e cruda, a quei novissimi, nei confronti dei quali, presto o tardi, cristiani o no, dovremo fare i conti.Solo una donna poteva dipingere lo strazio di una madre o di una sposa così, come ha fatto la Anderson, uno strazio pieno di dignità. Tra il contrasto di un mare che segue tranquillo i suoi ritmi – indicando un tempo che ci supera, una vita che crudelmente continua – e le rovine delle case ove riecheggiano i gemiti degli intrappolati, stanno le mani giunte ed elevate di questa donna. Sta la preghiera. Mentre l'impegno e la laboriosità sana del nostro paese s'ingegna a portare ogni genere di soccorso e aiuto, mentre la volontà di ricostruire preme al cuore anche delle famiglie più colpite dal sisma, è necessario che tutti ci si volga alla preghiera. Nulla accade a caso nel piano divino. Nemmeno un terremoto. Non possiamo consegnare il dramma alla fatalità sterile di chi vive senza Cielo. Il Cielo c'è e il legame con esso lo raccontano le centinaia di morti. Bisogna coltivare quell'abbraccio tra Cielo e terra, con il filo esile della preghiera, affinché noi, i superstiti, si sia più vigili e meno miopi nel giudicare il presente. Affinché questi nostri cari non siano morti invano.
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