Giobbe è uno dei personaggi biblici la cui lettura e rilettura hanno fecondato il pensiero occidentale. Le domande quasi blasfeme dell'innocente sofferente non vengono disprezzate da Dio, che benedice l'uomo dolorante sotto i colpi della vita perché non tralascia una relazione con il proprio Creatore. Qualcosa del genere affiora da Suttree (Einaudi), opera di Cormac McCarthy, narratore Usa, quando il protagonista ha uno scambio "teologico" con un cenciaiolo: «Tempo fa mi hai detto che credevi in Dio». Il vecchio agitò una mano. «Può darsi», disse. «Ma non vedo perché lui dovrebbe credere in me. Oh, mi piacerebbe parlarci un attimo, se potessi». «Che cosa gli chiederesti?». «Be', credo che gli direi semplicemente: Aspetta un secondo. Aspetta un secondo prima di darmi addosso. Prima che tu apra bocca vorrei solo sapere una cosa. E lui direbbe: Che cosa? E allora io gli chiedo: Si può sapere perché mi hai messo in mezzo a questa partita a dadi quaggiù? Non ci ho mai capito un accidente». Suttree sorrise. «E lui cosa credi che dirà?». Il cenciaiolo sputò e si asciugò la bocca. «Non credo che possa rispondere" disse. «Non credo che ci sia una risposta».
Risposta che potrebbe sembrare blasfema, novello Giobbe. Ma se dette dentro una cornice di relazione, anche le nostre rimostranze a Dio assumono i colori della preghiera.
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