Una crisi fatta anche di carne
sabato 4 maggio 2013
È allarme rosso per la zootecnica da carne in Italia. Questo almeno è quanto afferma il mondo della cooperazione agricola, che spiega: «La zootecnia da carne rischia l'abbandono nel nostro Paese, con danni irreparabili per l'intera filiera e l'indotto». In gioco qualcosa come 3.400 milioni di euro di valore prodotto solo per le carni bovine e 2.800 per quelle suine, senza contare polli e ovicaprini.L'allarme è basato sostanzialmente su un dato che Federagri-Confcooperative assume come indicativo del malessere complessivo del comparto: l'Italia sta perdendo autonomia produttiva, con i consumatori costretti ad acquistare carni provenienti da altri paesi. «L'attuale quota di autoapprovvigionamento – dice la cooperazione –, è scesa sotto al 50% e rischia di arrivare al 20-25%». Alla base dell'abbandono della produzione nazionale di carne vi sarebbe l'andamento dei prezzi di vendita alla produzione che in Italia sono in calo, mentre risultano in rialzo nei principali produttori europei, come Germania, Francia e Irlanda, trainati anche dall'aumento della domanda extra-Ue. Ma c'è anche dell'altro. A giocare contro le nostre produzioni sarebbe anche la ricerca della distribuzione di carni a prezzi sempre più bassi per contrastare il calo dei consumi. In questo modo, quello che era un tradizionale scarto di prezzo con le carni estere, a riconoscimento di una miglior qualità del prodotto nazionale, verrebbe di fatto annullato. La denuncia della cooperazione, poi, si basa anche su altro. A partire dal peso politico del nostro Paese e della sua capacità di difendere gli interessi agricoli nazionali. «L'Italia è rimasta esclusa dalla tendenza all'aumento dei prezzi registrata negli altri Paesi – dice Fedagri – sia a causa della riduzione del potere d'acquisto dei consumatori nel nostro Paese, sia perché sono mancati gli accordi sanitari bilaterali con i Paesi terzi. In Turchia, ad esempio, l'Italia ha accettato dei vincoli che escludono la produzione nel nostro Paese a partire da vitelli acquistati all'estero».E come se non bastasse, gli allevatori italiani devono anche fare i conti con l'aumento dei costi di produzione (+20% circa solo per i bovini), la stretta creditizia che pesa anche sulle stalle e che mette ulteriormente in crisi gli investimenti, oltre che l'incertezza per il futuro determinata dalla nuova Politica agricola comune che comporterà, sembra ormai certo, una riduzione dell'integrazione di reddito agli allevatori.Ed è proprio a partire dalla nuova Pac che scaturiscono le richieste del settore. L'intervento europeo viene assunto come «l'unico strumento di sostegno del reddito» degli allevatori, da qui, quindi non solo la domanda di mantenere una risorsa finanziaria adeguata per le aziende zootecniche, ma anche quella di «poter disporre di interventi diretti specifici». Speranze che, tuttavia, rischiano di rimanere deluse dalle vicende generali dell'economia e dagli equilibri di bilancio in gioco non solo dal punto di vista agricolo e alimentare.
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