Là nel ventre della Azovstal soldati e civili feriti sono in centinaia. Alcuni gravissimi, alcuni mutilati, tutti senza farmaci e senz'acqua. Per terra, ammassati, testimonia un anonimo ufficiale di polizia alla tv ucraina Rada. Al buio, nell'odore di morte della cancrena. L'inferno si è incarnato in quei sotterranei, e dal cielo continuano a bombardare. Sabato sera l'acciaieria era illuminata a giorno da proiettili che cadevano a pioggia, lucenti come fuochi d'artificio. Bombe termiche, o al fosforo? Laggiù, sentono solo il boato. O forse, nel dolore e nella febbre, non se ne accorgono. «È finita la speranza», ha detto la moglie di uno degli Azov. Zelensky continua a parlare di possibili trattative, ma dal Cremlino due giorni fa hanno risposto che sui "criminali di guerra" non si tratta. Cerchi l'eco di questa agonia, che nessun cronista può raccontare. Ciò che non è in diretta, in fondo non esiste: l'inferno, sceso in terra, passa quasi inosservato. Eppure la Croce Rossa è pronta, Erdogan offre una nave per i feriti. Ieri sera, dal Cremlino l'annuncio di un cessate il fuoco per evacuare i feriti nel Donbass. Accadrà veramente? Presidente, basterebbe un suo "sì". In un libro che forse lei non conosce – Lombardia, Seicento, la peste – il cardinale Federigo Borromeo dice a un uomo spietato: «Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia». Presidente, un secondo di misericordia.
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